Sulla metropolitana

Ieri pomeriggio sulla metropolitana, piena come un uovo, c’erano due zingarette che portavano nel passeggino un bimbo che urlava a voce sgolata. Queste zingarette erano gemelline, con felpe, pantaloni e giacchetto di vernice rossa uguali ed erano alte giusto un soldo di cacio in più del passeggino. Giocavano a fare la mamma e la zia del pargoletto urlante: si rimpallavano la responsabilità di averlo messo al mondo, piccolo e scemo; intimavano al finto figlio di stare zitto; telefonavano a mariti immaginari chiedendogli che le raggiungesse e facesse star zitto il bimbo e fissavano immaginari appuntamenti per passare la serata a ballare in discoteca.

Con tutto questo suscitavano la riprovazione delle persone accanto, disturbate dal vociare di loro, zingarette, e dal piagnisteo del bambino, e che quasi quasi ci credevano che quel bimbo potesse essere il frutto proibito di chissà quale disdicevole relazione tenuta dalle bambine, alte un soldo di cacio in più del passeggino.

Mi sono sentita parecchio vecchia guardandole giocare, ricordando la mia infanzia. Le invidiavo nonostante l’evidente disagio sociale di cui erano espressione.

Devo confessare però che preferisco cento di queste scintille a quelle del becero populismo razzista cui oggi si osanna dai televisori.

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