50 anni di corsa. La crisi di sovrapproduzione mondiale.

 

Nel dibattito degli ultimi anni siamo rimasti un po’ fermi a una visione un po’ nostalgica di quelli che sono stati gli anni 70 e 80 in Italia e nel mondo.

Questo articolo vuole recuperare ed aggiornare un po’ questo scenario. Chiaramente si tratterà di una semplificazione, per altro molto artigianale, il cui unico obiettivo è quello di fornire delle coordinate minime di argomentazione politica dei processi passati, per quanto sono ancora importanti oggi, periodo in cui, oggettivamente, la situazione mi pare essere sfuggita a qualunque speranza di raziocinio.

La crisi degli anni ’70 può essere riassunta, in maniera estremamente sommaria, dicendo che era stata preceduta da un periodo di crescita imponente e di scala planetaria che a sua volta aveva seguito la tragica fine della seconda guerra mondiale.

Il mondo, spinto in oriente dalle politiche socialiste e in occidente dalle politiche keynesiane, aveva imboccato una strada contraddittoria, connaturata alla guerra fredda che portava guerra in ogni angolo del mondo, in particolare in Corea e in Vietnam, ma che in qualche modo come economia globale cresceva senza sosta.

Il modello entra in crisi proprio negli anni ’70. Anni che, paradossalmente, rappresentano anche, in Italia almeno, il punto più alto delle conquiste sociali (scuola, sanità, divorzio, scala mobile, lavoro, case popolari, ecc…).

Anche nel resto del mondo si fanno passi avanti, gli anni ’70 sono quelli in cui si consolida la cosiddetta terza via di sviluppo, non allineata né ai paesi socialisti, né ai paesi occidentali ed alimentata dal processo di decolonizzazione e in cui cadono le ultime dittature europee: Grecia, Spagna e Portogallo.

Non sono però tutte rose e fiori. Infatti è in questi anni che si manifesta la cosiddetta crisi di sovrapproduzione, che è principalmente di merci, ma con tratti di sovrapproduzione di capitali (che però troverà negli anni ’80 un suo sfogo particolare), in cui cioè il mercato, almeno quello occidentale inizia a segnalare problemi di saturazione e quindi di merci (principalmente auto ed elettrodomestici) che ristagnano nei magazzini.

Inoltre è sempre in questi anni che si hanno i primi segnali della crisi energetica, quando i paesi dell’OPEC (produttori di petrolio, ma non americani) si sfrancano dalla politica statunitense e impongono dei prezzi al petrolio di loro decisione. È quanto possono fare dato che la produzione del petrolio è un settore particolare, retto dalle regole di monopoli e oligopoli che seguono una formazione del prezzo tutta loro. I paesi dell’OPEC alzano il prezzo del petrolio per motivi politici e cioè per aiutare i loro fratelli palestinesi impegnati in una guerra con Israele, sanguinosa, ma non brutale. E scoprono di essere effettivamente padroni del mercato mondiale. Rientrano presto, però, nella politica statunitense, abbandonando la solidarietà musulmana.

Inoltre è il decennio fra i più duri dello scontro della guerra fredda che vede in particolare in Sud America, in quel decennio e nel successivo, succedersi svariati golpe di matrice statunitense che instaurano regimi sanguinari non molto dissimili da quelli nazisti da poco tempo tramontati in Europa.

Infine è il decennio in cui vengono abbandonati i famosi accordi di Bretton Wood del 1944, quelli in cui la comunità internazionale, con non pochi problemi, aveva accettato la proposta di agganciare il valore di tutte le monete mondiali (o almeno delle monete importanti) al valore del dollaro e di agganciare quest’ultimo ad una convertibilità con l’oro stabilita dalla FED. Nel 1974 per problemi vari, di cui ci interessa relativamente la spiegazione, gli USA decidono unilateralmente di abbandonare la convertibilità in oro del dollaro e dunque gli accordi di Bretton Woods formalmente crollano. In realtà, non essendoci nessun altra possibilità di stabilire il valore intrinseco della carta moneta tutti gli stati del mondo, almeno per trent’anni, restano agganciati al dollaro per convenzione.

Dopo questo periodo che succede nei successivi 50 anni? Come siamo arrivati ad oggi? E come mai non ce ne occupiamo più di tanto?

Certo, sia la storia degli anni successivi alla seconda guerra mondiale, sia la storia degli ultimi 50 anni non può essere riassunta bellamente dentro un articolo così breve. È un po’ come cercare di coprire un letto matrimoniale con un lenzuolo da una piazza, puoi tirare da una parte o tirare dall’altra, ma qualche parte resta sempre scoperta.

Anni ’80

Il movimento sociale, dopo la batosta degli anni ’70 è quasi inesistente. Si hanno ancora dei movimenti di organizzazione nelle fabbriche, ma già a metà anni ’80 con la marcia dei colletti bianchi subisce una battuta d’arresto totale. Il PCI, unica organizzazione di sinistra ancora organizzata e popolare prende ancora percentuali di voti intorno al 30% (quando a votare andava quasi il 90% della popolazione), ma non penserà mai di affrancarsi dalle destre. Anzi è proprio in questi anni, prima con Berlinguer e ancor più marcatamente dopo la sua morte, che si compie la trasformazione del partito in un partito di fatto contrario al comunismo e sostenitore del capitalismo. Infatti in quegli anni lo scontro ideologico si caratterizza per essere fra un capitalismo moderato e un capitalismo selvaggio. Vince il capitalismo selvaggio.

Sono gli anni più duri infatti nei paesi a capitalismo maturo che aprono le porte in tutto il mondo ad un cambio di passo:

  • abbandono delle politiche keynesiane
  • sviluppo senza precedenti e un po’ in tutto il mondo dell’inflazione (conseguente sia 1 – all’aumento dei prezzi del petrolio; 2 – alla sovrapproduzione di merci e forse anche di capitale, che almeno in occidente manda in crisi le aziende e spinge processi di licenziamenti di massa, accorpamenti e fusioni; 3 – all’abbandono del legame del dollaro con l’oro così che i prezzi presi da capogiro iniziano a fluttuare verso l’alto; 4 – alle politiche del debito pubblico che pesano come un macigno e sopratutto ingenerano un timore non meglio specificato per il futuro).
  • Ripiegamento in senso liberista nei paesi anglosassoni, prima in Inghilterra con la Teacher e poi negli USA con Reagan.

Anni ’90.

E’ in questo decennio che avvengono i più grandi sconvolgimenti. Due sono i fenomeni principali.

1- la caduta dell’URSS e 2- l’avvento della rivoluzione informatica.

Ed è più che altro questo secondo fattore che frena la prevedibile orgia del potere che sarebbe potuta seguire alla caduta dell’URSS. Infatti sopratutto negli USA la possibilità aperta di ristrutturazione totale del mercato e della produzione in seguito all’avvento dei computer e dei PC lascia ampi spazi di guadagno che momentaneamente distolgono i capitalisti dal bisogno di ricorrere a guerre sanguinose per il controllo di quella parte del mondo che prima era sotto il controllo sovietico. Seppure in realtà guerre ci sono e si preparano.

La corsa tecnologica negli USA è furibonda, dando per un breve momento anche l’illusione di poter raggiungere un monopolio che però non verrà mai stabilito. D’altronde anche i paesi produttori di petrolio diventano amici fidati degli USA e si ha l’illusione che gli USA possano mantenere la supremazia grazie a questi espedienti.

Tutto il mondo però accelera la sua corsa sulla scia della III rivoluzione industriale. In alcuni paesi (tipo l’Italia) senza che questo scalfisca sostanzialmente nulla della struttura produttiva precedente ed anzi con alcuni ritardi e resistenze. Ma altri paesi, in primo luogo Cina, India e i paesi dell’est asiatico diventano presto protagonisti della partita. Per un po’ sembra che siano ancora sotto il controllo USA, ma presto l’illusione sparisce e la Cina in particolare inizia il suo programma di sviluppo che la porterà in breve tempo fuori dal novero dei paesi in via di sviluppo e ad essere invece un leader indiscusso della partita tecnologica.

È sempre in questi anni inoltre che si sviluppano le ultime rivoluzioni politiche di stampo chiaramente socialista. In Venezuela con Chavez che riporta spinta, coraggio e speranza a tutto il continente (pur con le sue contraddizioni) e in Sud-Africa con la vittoria di Nelson Mandela.

Non sono anni indolore però.

Nel vecchio continente, le tensioni seguite alla morte di Tito (1980) si acuiscono e sfociano nella prima guerra guerreggiata sul suolo europeo dopo la fine della seconda guerra mondiale. Con la guerra in Bosnia e in Serbia.

Anche in Turchia per un momento, con la guida di Ochalan, si spera di poter creare almeno un angolino di libertà per il popolo curdo, ma la cosa ha vita breve e si instrada subito nelle forme tutt’ora note di guerra permanente.

In Palestina le cose non vanno meglio. Si giunge agli accordi di Oslo, ma senza l’URSS a fare da vigilante internazionale si intuisce subito che quelli sono accordi di disperazione e il cammino che proprio sugli accordi di Oslo si inizia è quello di una politica genocidaria in maniere già palese.

L’Italia segue un percorso tutto suo, completamente fuori sincrono col resto del mondo. Da un lato vede acuirsi i processi aziendali di ristrutturazione che licenziano decine di migliaia di persone; dall’altro si realizza o comunque regge il percorso del made in Italy sulle spalle delle piccole e medie imprese del lusso e del design.

Inoltre in Italia ci si preoccupa principalmente di problemi politici: 1 – si assiste alla caduta del sistema di potere della DC con l’inchiesta di Tangentopoli, la conseguente ascesa del biscione e della Lega, il macchilage del PCI in PDS; 2 – si avvia il processo di avvicinamento e creazione dell’Unione Europea che impone anche la messa in svendita dell’intero patrimonio pubblico statale. Fatto in maniera raffazzonata, improvvisata e selvaggia, come nessun altro paese attua.

Privatizzare! È l’ordine e loro svendono tutto. Salvo poi rendersi conto decenni dopo che privatizzare era un modo di dire per gli altri paesi e si intendeva solo: “fate società per azioni”. Si assiste così alla corsa a cercare di ricomprare tutto quello che si era venduto, ma in un tentativo di salvataggio così difficile da divenire quasi impossibile.

Anni 2000

Il primo decennio del nuovo millennio si apre in maniera veramente bizzara, già al suo apice con fenomeni precursori di tutto lo sviluppo successivo.

Nel 2001 infatti ci sono due eventi storici. A partire dal movimento di Seattle rinasce e rifiorisce un movimento spontaneo di critica al capitalismo e alla globalizzazione che vede nelle giornate di Genova compiersi un’importante opera di repressione capace di frenare l’intero movimento internazionale.

Pochi mesi dopo nel settembre 2001 si assiste alla caduta delle torri gemelle a New York.

Questi due momenti segnano distintamente e caratterizzano tutto il decennio. È come se per un breve momento cause ed effetti si fossero invertiti e prima si manifestano i risultati di un percorso e poi invece si assiste ai processi che li hanno generati. Non potendo essere così spiegata la storia però è certo che le spiegazioni debbano essere un po’ più articolate. Quello che è certo è che movimenti sociali ed economici che scorrevano sottotraccia escono allo scoperto, le contraddizioni esplodono e diventano manifeste a tutti.

Per quanto riguarda lo sviluppo dei movimenti politici e di critica del sistema capitalista, Genova nasce sul filone di quelli che sono i movimenti di Seattle. Una serie di meeting che riuniscono vari attivisti, cosiddetti post-ideologici, che effettivamente non sposano mai un’ideale socialista apertamente dichiarato, ma individuano comunque nei fenomeni di globalizzazione e di neo-colonialismo dei motivi importanti di critica al modello di produzione capitalista. Inoltre sono movimenti che nascono anche dalla confluenza dei movimenti ambientalisti e pacifisti che erano gli unici che negli anni ’90 cercavano ancora di organizzarsi (in Italia per esempio si erano visti movimenti pacifisti e antinucleari).

Paradossalmente pur non centrando completamente la critica al modello economico individuano un nemico significativo nei meeting internazionali dei grandi gruppi economici occidentali.

Soffermiamoci un attimo. Questi meeting (il G8, ma anche i raduni del FMI, del WTO, dei GATT, ecc..) sono degli incontri di fatto sovrastatali, che non hanno nessun rispecchiamento in leggi o trattati internazionali precedenti, ma che spuntano come funghi per definire un nuovo modello di commercio internazionale. Sono cioè il risultato di quelle manovre di liberalizzazione del mercato che erano nate negli anni ’80. Vi si stabiliscono le regole del commercio internazionale o meglio, vi si abbandonano le regole del commercio internazionale. Vengono eliminati tutti i vincoli (salvo forse qualcuno di natura sanitaria che rimane in piedi). Si può produrre dovunque, in qualunque modo, inquinando, rubando, sfruttando, uccidendo e nessuno ha diritto di limitare il commercio. Si può commerciare qualunque cosa: merci, armi, rifiuti, energie, animali e persone. Si può sfruttare qualunque risorsa. Si può comprare qualunque debito pubblico.

I capitalisti pretendono il predominio totale sul mondo e si organizzano di conseguenza.

Certi dell’impunità tengono i loro meetings in bellissime città moderne o d’arte.

Il movimento di Seattle che nasce anche dalla rivoluzione informatica autogestita e dal basso, non ha una strategia per criticare e costruire un’alternativa, ma individua un nemico chiaro e questo dà potenza a tutto il movimento.

Rifiorisce l’organizzazione dal basso, la critica sociale e rinasce la speranza di poter lottare per un mondo migliore.

In Italia questo movimento si lega da subito con quanto era sopravvissuto alla crisi degli anni ’70. Trovando le sue forme di organizzazione nei sindacati, nei centri sociali, nei movimenti pacifisti e cattolici, nelle organizzazioni ambientaliste e pacifiste, appunto i luoghi in cui si era tenuta accessa la fiammella per tutti gli anni ’90.

Pur essendo un momento repressivo molto violento, le giornate di Genova segnano una svolta nel movimento italiano, che seppure disorganizzato può tornare a far sentire la sua voce. Scende in piazza in 300.000 e, si, si rende conto che gli antagonisti (come si diceva allora) in Italia esistono ancora. Si guarda in faccia e si riconosce.

Anche i capitalisti però coltivano i loro sogni, o peggio i nostri incubi, e a partire dall’attentato alle torri gemelle del settembre 2001 dichiarano guerra all’intero pianeta. Si inizia una sequenza di attacchi a tutto il mondo non occidentale. Tutti i paesi vengono messi nel mirino a meno che non siano abbastanza grandi da possedere armi atomiche. La lista è infinita. Si parte con l’Afghanistan, si prosegue con l’Iraq, si scavalla il decennio e si arriva a Libia, Siria, Yemen, un altro decennio e dopo la breve pausa imposta dal Covid vengono attaccate Russia e Palestina.

In una guerra il cui obiettivo non è più quello di conquistare alcunché, ma solo di perpetuare la guerra stessa come fonte di finanziamento del capitalismo ormai in crisi irreversibile.

Gli anni 2000 sono questa cosa qui: la globalizzazione che estende le sue mani su ogni angolo del pianeta, cementificando e depredando qualunque risorsa; lo sviluppo delle tecnologie informatiche che fa baluginare la speranza di poter lavorare meno e invece velocizza i processi di globalizzazione e le catene dello sfruttamento mondiale; una finanziarizzazione dell’economia che prende il predominio su qualunque idea di crescita nella prosperità.

In Italia il lato della medaglia è quello specchiato: a partire dallo stralcio della Costituzione operato nel 2001, alle privatizzazioni più selvagge, alla distruzione dei diritti dei lavoratori. È in questo decennio che le conquiste degli anni ’70 vengono prese a martellate. Tutto il patrimonio pubblico (treni, aerei, acciaierie, energie, poste, banca nazionale, uffici, autostrade e strade, parchi nazionali, farmacie e industrie farmaceutiche, cantieri, tutto) viene venduto al privato, cedendo il controllo pubblico.

La disoccupazione dilaga e a fare da ciliegina sulla torta si preannuncia la crisi globale scatenata dalla finanza nel 2007.

La crisi finanziaria del 2007/8 nata negli USA non è dissimile da nessun altra crisi finanziaria. Si tratta di una truffa orchestrata su larga scala, alimentata dalla promessa di guadagnare soldi facilmente. Si promette a debitori di diventare più ricchi indebitandosi; si promette a investitori di diventare più ricchi comprando aziende prima che facciano utili, nella solita illusione: too big to fail.

 

2010

Avvicinandosi al presente il senso degli avvenimenti tende a svanirci sotto mano. Quel che è certo è che il decennio appena trascorso è in parte la fotocopia del decennio precedente. A livello internazionale prima con la presidenza Obama e poi con quella Trump si è vissuto una vaghissimo rallentamento degli attacchi perpetrati dalla più grande potenza mondiale al resto del mondo, poiché è invece tornato a voltare gli artigli contro i nemici vicini: Messico e Sud America.

In compenso la crisi generata dagli USA ha lasciato i suoi segni sul vecchio continente, dove in particolare in Italia (ma anche in altri paesi cugini) ha portato alla distruzione del sistema pensionistico, alla totale precarizzazione dei rapporti di lavoro, alla gestione dei cocci causati dal decennio precedente. Macelleria che è stata solo brevemente rallentata dall’ascesa del M5S e dall’avvento della pandemia.

Del 2020 non c’è niente da dire che già non si sappia: pandemia, guerra in Ucraina, guerra in Palestina e superamento del limite invalicabile dell’aumento della temperatura globale di 1,5 gradi medi.

Se il decennio si mostra dai suoi primi anni, c’è di che essere terrorizzati.

Ah, giusto c’è anche l’AI e Star Link, meno male via…

 

 

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