Ma non lo avevo già scritto?

Che cos’è il tasso d’interesse?

Ma non limitiamoci alle domande meschine. Chiediamoci proprio, che cos’è l’economia?

Quanto alla prima domanda, che cos’è il tasso d’interesse, non sentiamoci scemi se non sappiamo rispondere a questa domanda, dal momento che anche i più alti teorici dell’economia faticano a capirci qualcosa.
Nell’ultimo articolo, di aprile 2023, dicevo che il tasso d’interesse indica il costo del denaro, considerato in un singolo Stato o Unione di stati con la stessa moneta, e più precisamente il costo del debito.

È una parte della definizione, ma non completa.

Infatti quello è il tasso d’interesse della moneta, preso come valore a se stante deciso dalle banche centrali.

Prima di andare avanti specifico cosa intendo dire quando parlo di tasso d’interesse della moneta. La moneta, il denaro cioè, è una categoria particolarissima dell’economia. Con cui peraltro tutti abbiamo familiarità avendola sempre fra le mani (non tanta quanto ci piacerebbe). Quindi non dirò niente di nuovo ricordando che le caratteristiche principali, a livello di uso quotidiano della moneta, sono 1- quella di tesaurizzazione della ricchezza e cioè di mantenere inalterato nel tempo il valore del risparmio, cosa utilissima per differire a piacimento il consumo o l’investimento; 2- quella di fungere da universale equivalente e cioè da merce di scambio che tutto può scambiare. Cioè 8 ore di lavoro per una cena fuori; per una spesa per una settimana; per un paio di scarpe; per una bolletta del telefono, ecc… Tutte le altre merci del mondo trovano nella moneta l’equivalente con cui poter essere scambiate1.

La moneta, per queste sue qualità, resterà in ogni sistema economico al momento pensabile. Come si costruisce la moneta, la sua storia e le svariatissime forme che ne esistono è materia vasta che richiederebbe competenze economiche, storiche, antropologiche e certamente politiche, nonché artistiche, dato che la moneta è anche un simbolo.

Nella nostra parte di mondo “moneta” non è solo quella rappresentata dalle banconote, ma ci rientrano anche i depositi bancari e certi titoli “statali” che possano essere convertiti in contante in un lasso di tempo breve – fino a 6 mesi – e cioè quell’ammontare di denaro caratterizzato da un certo grado di liquidità. M1 viene chiamato dalle banche centrali l’ammontare di questi titoli, depositi e circolante. M2 comprende mi pare anche i titoli a più lunga scadenza tipo un anno. Ma qui non sono ferratissima.

Fatto sta che quando dico che il tasso d’interesse della BCE riguarda il valore della moneta, è perché si tratta del tasso applicato dalla Banca Centrale a dei titoli suoi particolari che possiedono caratteristiche se non proprio di liquidità, almeno non di immobilizzazioni, come sarebbe l’investimento in azioni o in investimenti in economia reale direttamente.

Moneta dunque, e non finanza.

Di questo si occupa infatti la BCE2.

Ci chiediamo a questo punto: che succede al tasso d’interesse monetario se ci troviamo in un contesto caratterizzato dall’inflazione?

Perchè il tasso d’interesse proposto dalle banche centrali è quello di offerta, diciamo così. Cioè quello che offrono le banche centrali. Ma il tasso d’interesse comparato all’inflazione, temo che potrebbe venir considerato il tasso d’interesse reale.

Mettiamo il caso che io abbia 100 euro da investire (e quando mai?). Vado sul mercato mondiale (la borsa valori) e mi guardo in giro. E vedo che la BCE offre titoli al vantaggioso tasso di 4,25% (annuo? Diciamo di si, ma potrebbe essere semestrale o “annuo, ma che deve essere stipulato per un minimo di 3 anni”, o simili).

Abbiamo detto che il tasso d’interesse della BCE è sicuramente garantito in quanto la BCE, per legge dell’Unione degli Stati, è la prestatrice di tutte le banche nazionali europee, per cui può chiedere e sicuramente chiederà questo tasso d’interesse alle sue stesse consociate quando gli presta denaro; le quali a loro volta possono chiedere e sicuramente chiederanno lo stesso tasso d’interesse ai privati… i quali a loro volta… niente. I privati cittadini non possono rivalersi su nessuno per rientrare del tasso d’interesse. Ma, quanto alla BCE, tramite questo meccanismo può garantire “sicuramente” di restituire il 4,25% di quanto “offerto” a prestito.
Nel mondo dell’economia, composto da teorici pazzi, però il tasso d’interesse monetario non è l’unico tasso d’interesse presente. Ne esistono a centinaia e migliaia.

Diciamo pure che ogni merce ha il suo peculiarissimo tasso d’interesse. Si tratta cioè del profitto realizzato se si fosse in grado oggi di prevedere quanto profitto su ogni produzione si potrebbe raggiungere.

Tutti questi tassi d’interesse stanno in relazione fra loro e il variare dell’uno comporta il variare dell’altro. Per esempio, sembra che il petrolio garantisca un certo tasso d’interesse. Certo, nel senso che sicuramente si realizzerà.

Io, però, che ho in tasca i miei bei 100 euro da investire, devo ancora fare due cose prima di decidere se dare o meno i miei risparmi alla BCE e sono: 1- valutare il tasso d’interesse di altri beni capitali rifugio (azioni in aziende); 2- valutare il peso dell’inflazione.

Quanto al valutare il tasso d’interesse di altri beni rifugio, essendo io un povero investitore ignorante o, come si dice con linguaggio tecnico, “con asimmetria informativa” che non può conoscere le sorti dell’economia mondiale, non avrò gran che su cui basarmi.

Certo posso pensare che investire in tecnologia informatica possa essere più profittevole, dato che dobbiamo tutti usare gli smartphone, i computer, il 5G, instagram, netflix e compagnia bella; oppure che investire in beni energetici con la guerra in corso che fa lievitare i prezzi di petrolio e gas sia una figata notevole, ma ormai per entrare in quella partita mi troverei molto in difficoltà; oppure potrei essere “very green oriented” e investire in rinnovabili o nel settore delle auto elettriche, ma mi basterebbe venire a sapere che tutta questa tecnologia e le materie prime per costruirla sono in mano alla Cina comunista, perché i miei sogni di diventare ricco si infrangano in niente. Insomma se voglio proprio speculare potrei anche rischiarmela a investire nel mercato del grano, solo però confidando che la guerra fra Russia e UE/USA vada avanti a tempo indefinito, ma poi forse la coscienza mi presenterebbe il conto che il mio arricchimento dipenderebbe dalla morte diretta di centinaia e migliaia di esseri umani.

Alla fine andrei a considerare sempre i soliti noti: Stato e BCE, che mi offrono tassi così vantaggiosi.

A questo punto però dovrei chiedermi che peso ha nel mio investimento la percentuale di inflazione. Infatti tutti sanno che l’inflazione riduce in valore percentuale l’ammontare del mio reddito, qualunque origine esso abbia. Cosicché se l’inflazione è al 10% e il tasso d’interesse al 4,25% io comunque ci perdo un 6% quasi.

Non sono scemo infatti, non saprò che cos’è il tasso d’interesse, ma non mi aspetto neanche che la BCE miri ad offendere la mia intelligenza quando dice che il mio investimento in titoli al 4.25% permetterà di frenare l’inflazione.

Non solo investitore, dunque, ma anche eroe della patria? Direi che è spararla un po’ troppo grossa!

Abbiamo detto che i privati che si trovano applicato un tasso d’interesse al 4,25% sui loro prestiti (mutui, cessioni, altri prestiti), essendo gli ultimi della catena, non possono scaricare questo aumento delle rate dei prestiti su nessun altro. Ma a questo punto occorre fare una distinzione. Quando si parla di “privati” in economia ci si riferisce a due soggetti diversi: privati cittadini e imprese. Fra i privati cittadini ci rientrano tutti, dall’operaio, all’ingegnere del CNR, diciamo comunque che si tratta nella grande maggioranza dei casi di lavoratori dipendenti. E anche con riguardo alle imprese non ci sono ulteriori distinzioni, da quelle di grosse dimensioni con 1000 o più dipendenti a quelle individuali, quali artigiani o commercianti, ci rientrano tutte. E così come privati cittadini facoltosi o imprese di grosse dimensioni avranno più disponibilità di rientrare dei tassi d’interesse applicati dalle banche e anche meno necessità di ricorrere ai prestiti, specularmente sono i privati cittadini non facoltosi e le imprese di piccole dimensioni che subiranno maggiormente la sciabolata dell’aumento dei tassi. E questo è un dato certo.

La distinzione fra cittadini e imprese, quando si parla di privati, serve però a rammentare una cosa: e cioè che le imprese essendo agenti economici intermedi, che cioè producono una merce per la vendita, cercheranno di rientrare dell’incremento dei costi dei tassi, aumentando i prezzi. Fra queste, buona parte delle imprese non riuscirà neanche aumentando i prezzi a pagare le rate dei prestiti, alcune ci riusciranno e potranno farlo, appunto, solo alimentando la spirale inflazionistica.

Sempre per completare il quadro attuale, diciamo pure che i mutui e i prestiti in generale si differenziano in mutui a tasso variabile e mutui a tasso fisso. Che significa? I mutui a tasso fisso applicano una percentuale di interesse stipulata nel contratto per tutta la durata del mutuo, a prescindere dalle variazioni del mercato. I mutui a tasso variabile, invece, da rata a rata ricalcolano il costo totale degli interessi usando come riferimento il tasso d’interesse di volta in volta deciso dal mercato.

Non abbiamo idea di quanta gente abbia stipulato un mutuo a tasso variabile, perché è da moltissimi anni che sappiamo che i mutui a tasso variabile sono strumenti di usura vera e propria e non molti si saranno affidati a cuor leggero a questo sistema. Qualcuno però c’è e sarebbe da chiedersi se non sia il caso di farsi qualche domanda sugli operatori che hanno proposto questi mutui ai loro clienti, perché nessuna banca sensata proporrebbe un mutuo di questo tipo sapendo che nella durata media trentennale di un mutuo è molto probabile che avvenga un aumento del tasso e quindi di andare incontro a grosse problematiche di insolvibilità.

Quanto ai mutui a tasso fisso, invece, il problema non si pone sui prestiti già stipulati, ma su quelli nuovi, che prendono a riferimento, come già abbiamo detto, il tasso d’interesse deciso dalla BCE. Quindi andare in banca oggi a chiedere un prestito anche a tasso fisso è praticamente improponibile per chiunque non abbia grosse garanzia di solvibilità, cioè precisamente coloro che non hanno gran che bisogno di prestiti, avendo già nella loro disponibilità case, imprese, titoli e affini.

Fra questi pochi che hanno la disponibilità a stipulare questi prestiti si tratterà comunque delle imprese e delle attività che hanno un potere monopolistico sul mercato per vari motivi. Le quali possono implementare attività dannose o speculative. Aziende sorrette da artefatti motivi di guadagno, insomma. Non di imprese produttive efficaci ed efficienti. Ed è anzi da chiedersi precisamente su imprese efficaci ed efficienti quale sarà il contraccolpo di non poter più accedere al credito o di poterlo fare solo a prezzi speculativi. Insomma si tratta di un incentivo all’approfittazione. E di un incentivo significativo.

Questo è lo scenario attuale per quanto riguarda il mercato dei prestiti. Cerchiamo però brevemente di capirne cause ed evoluzioni.

Parliamo delle cause, che sono prettamente e, in questo caso, miseramente politiche.

L’unico motivo per cui la BCE e le altre banche centrali possono decidere di applicare un aumento del tasso d’interesse è precisamente per conservare il “valore” del capitale. Non ne esiste nessun altro.

In sintesi, abbiamo già detto e visto, che la spirale inflazionistica attuale non è stata originata da un incremento sregolato dell’attività produttiva – per altro in nessun modo auspicabile, stante la crisi ambientale in corso – ma invece da un incremento dei prezzi, principalmente deciso dalle grandi imprese monopolistiche e in particolare di gas e petrolio.

Ma non solo, ci sono anche altre imprese che nella fase attuale registrano profitti smisurati ottenuti proprio grazie all’aumento dei prezzi, ne enumeriamo qualcuna: multinazionali del farmaco; produttori di materie prime rare e necessarie per il settore dell’elettronica; e ultimi, ma non per importanza, immobiliari di vario tipo. Per esempio in Italia abbiamo una legge che prevede di applicare in automatico un incremento degli affitti, sui contratti da rinnovare, legato al valore dell’inflazione. Così. Senza neanche dover stare tanto a mercanteggiare.

L’inflazione quindi genera una diminuzione del valore di quello che viene chiamato capitale monetario, i soldi per intenderci. I miei risparmi di un anno fa valgono oggi almeno il 10% in meno. Se avevo 100 euro, nominalmente ne ho ancora 100, ma il loro valore è di 90. Per spiegare meglio il ragionamento diciamo che se un anno fa coi miei 100 euro potevo comprare 100 chili di grano e per qualche stupido motivo non l’ho fatto, oggi ce ne posso comprare solo 90. Se l’inflazione continua inesorabile, fra un anno, sempre ammesso che io non mi decida a comprare oggi i 90 chili in questione, dilapidando tutto il mio risparmio, l’anno prossimo ne potrò comprare solo 81 chili e via di seguito. Cioè il valore del mio denaro, anche se nominalmente è identico (100 euro), espresso in termini di grano ha perso il 10%.

Questo vale per tutto il denaro soggetto alla spirale inflazionistica. Quindi euro di sicuro e in particolare euro in Italia. Ma dato che la mossa inflazionistica è stata guidata dai produttori di petrolio e gas e in particolare dai produttori che vendono nel mercato occidentale mondiale, diciamo pure che è la ricchezza di tutto l’occidente che si è impoverita del 10%.

E’ da domandarsi però? Anche quella dei produttori di petrolio si è impoverita?

E con questa domanda entriamo un po’ più nel dettaglio di che cosa è il tasso d’interesse reale, quello a cui badano i capitalisti. Giacché, anche la spiegazione data sopra cioè che il tasso d’interesse sia il valore del costo del denaro, e più precisamente del costo del debito corretto al valore dell’inflazione è incompleta. Diciamo invece che ogni merce (grano, petrolio, titoli della BCE, e perfino denaro) ha un suo specifico tasso d’interesse. Ma poiché l’economia è tutta integrata, il tasso d’interesse di una merce si ripercuote su quello di qualunque altra merce.

Diciamo dunque che sono saliti i prezzi delle energie fossili perché i produttori, in buona compagnia, 1- o hanno approfittato della situazione di distrazione mondiale generata dalla pandemia e dalla guerra in corso in Ucraina; 2 – oppure perché un giorno si sono svegliati e hanno detto “poffarbacco, siamo dei monopolisti, possiamo applicare i prezzi che vogliamo” mentre prima non ne avevano idea; 3 – oppure perché si sono resi conto che la produzione con la vecchia tecnologia non bastava più a soddisfare la domanda di petrolio attuale e per implementarne una nuova – che faccia solo sembrare che ci sia tanto petrolio quanto prima, anche se un po’ più costoso – hanno alzato i prezzi (e stiamo parlando dei rigassificatori, del fraking e delle trivellazioni delle scureggine del mediterraneo – cioè di quelle sacche di gas naturale molto ridotte, ma numerose che ci sono nel mediterraneo).

Per uno qualunque di questi motivi, essendo il petrolio e il gas naturale, i beni principali da cui dipende, se non il valore, certamente il costo di ogni altra merce prodotta, l’aumento dei prezzi di questi prodotti ha comportato una spirale inflazionistica. É poi da vedere quanti di questi extra-profitti finiranno in investimenti e quanti invece andranno ad incrementare gli utili degli azionisti.

 

Questa spirale inflazionistica come si ripercuote sul valore del capitale degli stessi produttori di petrolio?

Bè… come dire. Io ritengo che il tavolo su cui giocano i grandi capitali e il tavolo su cui gioca la gente normale siano molto diversi. Un capitalista può certo finire in miseria se non amministra bene il suo denaro e investe tutto in un’impresa folle, ma nella stragrande maggioranza dei casi, il capitale accumulato è più che sufficiente a compensare sbalzi inflazionistici del 10%.

Mettiamo che loro abbiano aumentato il prezzo di un 5%. Il quale 5% si ripercuote su ogni passaggio produttivo. Dal produttore al consumatore, come si dice.

Io sono ENI e vado al tavolo dell’ente che acquista e distribuisce il gas a livello locale, mettiamo Enel e gli dico: “l’anno scorso ti ho fatto pagare 100 euro un mese di petrolio, quest’anno te lo faccio pagare 105, prendere o lasciare”. Poiché però Enel deve pagare in anticipo un anno intero, dovrà sborzare 60 euro in più sull’unghia. E siccome Enel questo contratto, invece di firmarlo a gennaio, lo firma in luglio e di tempo per rientrare delle spese ne ha solo 5 o 4 mesi, applica un aumento del 20%. La grande industria si prende un colpo vedendo aumentare i costi del 20% da un mese a quell’altro, parla ai suoi azionisti, cerca di rassicurarli che certo quest’anno non ci saranno tanti utili quanti previsti, ma che l’anno successivo andrà sicuramente meglio e applica un aumento sui suoi prodotti del 10%, noi compriamo questi prodotti che costano il 10% in più.

L’azionista di ENI dunque ha visto i suoi profitti incrementarsi del 5%, ma il valore del denaro diminuire del 10%. A differenza dei comuni mortali ci ha dunque rimesso solo il 5%.

Ripetiamo che ritengo che il tavolo dei grandi capitali e il tavolo della gente normale, quando si parla di ricchezza, capitale o valore, sia molto differente, qui lo trattiamo come se fosse unico per semplicità.

Inoltre ritengo che l’aumento dei tassi d’interesse serva proprio a tutelare il valore dei grossi capitali e che la BCE stia semplicemente cercando di uguagliare tutti quei profitti che non sono aumentati del 10%, portando il capitale a rivalutarsi del 10% come somma fra profitti e titoli. Per questo sostengo che le cause sono unicamente politiche e non economiche.

Cosa faranno nel futuro, poi non è dato di saperlo. Gli scenari sono molteplici: ENI può usare l’incremento dei profitti per andare a trivellare in giro (cioè investire), ma lì poi bisogna vedere se trova o non trova il gas, che se lo trova ha investito i suoi utili, se non lo trova ha sperperato i suoi risparmi. Allora poi magari l’anno dopo si presenta al tavolo e dice “quest’anno ti vendo a 110, prendere o lasciare”. Eccetera.

Se fossimo indovini potremmo chiederci davvero se queste fluttuazioni non siano segnali di cambiamenti registrati nell’economia reale. Ma non siamo indovini.

E come tutti leggiamo i dati finanziari e non ci capiamo un tubo.

Ci domandiamo però e pensiamo sia un domanda più che lecita: cosa dovrebbe fare un imprenditore onesto o un lavoratore impiegato a tempo pieno per restare sul mercato senza ricorrere a miseri trucchetti quali spostare i suoi risparmi dall’economia reale a quella finanziaria o accettare diminuzioni del salario, per quanto camuffate, andando a vivere sotto i ponti?

Se i grandi capitali possono mantenere il loro valore inalterato, perché la stessa cosa non può avvenire per la gente normale?

Se la teoria economica non ha una risposta a questa domanda e anzi solertemente si adopera a fare l’opposto, allora la teoria economica è sbagliata.

 

 

1Cnfr. Marx libro I, cap. 1 de “Il Capitale”

2Da tenere presente tuttavia che lo studio dell’economia politica applicata alla politiche statali prende il curioso nome di “scienza delle finanze” come se si occupasse davvero solo di soldi astratti e non anche di diritti.

 

 

 

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