Sulla metropolitana

Ieri pomeriggio sulla metropolitana, piena come un uovo, c’erano due zingarette che portavano nel passeggino un bimbo che urlava a voce sgolata. Queste zingarette erano gemelline, con felpe, pantaloni e giacchetto di vernice rossa uguali ed erano alte giusto un soldo di cacio in più del passeggino. Giocavano a fare la mamma e la zia del pargoletto urlante: si rimpallavano la responsabilità di averlo messo al mondo, piccolo e scemo; intimavano al finto figlio di stare zitto; telefonavano a mariti immaginari chiedendogli che le raggiungesse e facesse star zitto il bimbo e fissavano immaginari appuntamenti per passare la serata a ballare in discoteca.

Con tutto questo suscitavano la riprovazione delle persone accanto, disturbate dal vociare di loro, zingarette, e dal piagnisteo del bambino, e che quasi quasi ci credevano che quel bimbo potesse essere il frutto proibito di chissà quale disdicevole relazione tenuta dalle bambine, alte un soldo di cacio in più del passeggino.

Mi sono sentita parecchio vecchia guardandole giocare, ricordando la mia infanzia. Le invidiavo nonostante l’evidente disagio sociale di cui erano espressione.

Devo confessare però che preferisco cento di queste scintille a quelle del becero populismo razzista cui oggi si osanna dai televisori.

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I piedi di piombo non sono serviti…

C’era una volta tanto tempo fa, un pezzo di legno diranno i miei piccoli lettori, no davvero. C’era una volta un pezzo di piombo. A quel tempo il piombo veniva lavorato da degli artigiani particolari. Si chiamavano calzolai.

Già.

Gino era un calzolaio piuttosto bravo nel suo mestiere.

Come tutti sanno i calzolai solitamente lavorano col cuoio e col legno, ma in quell’epoca particolare il legno serviva per scaldarsi e non ci si poteva fare le scarpe; e gli animali erano bestie sacre e pertanto non si poteva più adoperare neanche il cuoio per fare le scarpe e quindi i calzolai si erano risolti ad utilizzare altri materiali.

Il piombo andava per la maggiore, per via di quel famoso detto che le cose importanti andavano fatte coi “piedi di piombo”. Quindi quando c’era una conferenza importante o un matrimonio tutti andavano da Gino e gli chiedevano: “mi fai un paio di scarpe di piombo che mi servono per questo evento importante?”.

Un giorno andò da Gino una bella ragazza alta e fiera.

E gli disse: “Caro Gino, fra una settimana ho un colloquio di lavoro importante in una ditta in cui mi piacerebbe lavorare da tanto tempo. So che i selezionatori badano molto a come uno si veste, se è attento nel curarsi, se è uno scansafatiche o una persona che si impegna. Quindi mi servono a tutti i costi dei piedi di piombo. Ma vorrei delle scarpe molto belle, capaci da sole di dire tutto quello che occorre dire per farsi assumere in questa ditta molto importante, mi puoi aiutare?”

Gino le promise che ci avrebbe lavorato e le avrebbe portato delle scarpe bellissime. Le chiese la misura, che colore preferiva, la forma, se aperte o chiuse e si mise a lavorare di buona lena.

Alla vigilia dell’incontro importante la ragazza tornò a prendersi le scarpe. Era molto agitata, ringraziò Gino per il bel lavoro fatto, lo pagò quanto meritava e mentre era sulla porta per uscirsene Gino la fermò e le chiese: “Domani, signora, perchè non torna a dirmi com’è andato il suo colloquio di lavoro importante”. La ragazza promise che sarebbe tornata e se ne andò.

Il giorno dopo, era quasi l’ora di chiusura del negozio e Gino già pensava che la bella ragazza non sarebbe tornata, lei tornò a trovarlo. E gli raccontò com’era andato il colloquio.

“E’ stato un disastro” disse “Mi hanno fatto il colloquio insieme ad altre ragazze, erano tutte vestite bene e curate come me e in più erano tranquille. Io ero nervosa e agitata. Ho provato a spiegare cosa sapevo fare, quello che avevo imparato in altre aziende che potesse tornare utile anche per il lavoro in questa, ho cercato di fare bella figura. Ma gli esaminatori erano distratti, mi hanno parlato del mercato del lavoro che è in crisi, che loro non possono assumere tutta la gente di cui ci sarebbe bisogno e che purtroppo c’erano delle preferenze da rispettare. Ma come gli ho detto io: che cavolo fate a fare un colloquio di lavoro aperto a tutti, se già avete deciso chi assumere? Mi hanno detto che così vuole la legge e che quello che vuole la legge non si può cambiare anche se per loro era una perdita di tempo e gli dispiaceva di aver allestito tutta questa buffonata. E mi hanno mandato via in maniera sgarbata” finì il suo racconto e aggiunse: “ ciò che mi dà più fastidio è non sapere se le altre ragazze che hanno preso, le hanno assunte davvero perchè erano raccomandate o solo perchè erano più tranquille di me e a me hanno inventato una storiellina per liquidarmi velocemente”.

“Mi dispiace” le disse Gino “mi dispiace che i piedi di piombo non le siano serviti”.

“Non si preoccupi Gino” le disse lei “le sue erano scarpe bellissime, sarebbero state perfette per una cerimonia o un matrimonio, è il mercato del lavoro che non ha più bisogno di scarpe di piombo, ma vaglielo a dire!”

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