Sono qui e nelle prossime puntate a presentare un riassunto dell’opera principale di Marx. Chiaramente trattandosi di un riassunto non può contenere tutti gli aspetti dell’opera scritta, tenterò tuttavia di riportare i passaggi principali dell’analisi economica marxiana. L’intento non è quello di scrivere un compendio del Capitale, quanto piuttosto di dare una guida sintetica alla lettura dello stesso, in quanto ritengo che lo sviluppo dell’argomentazione non sia del tutto comprensibile se non inquadrandola nel contesto storico. Quindi via via che ci allontaniamo dal periodo storico in cui Marx stesso è vissuto la lettura del Capitale diventa più difficile. Il fatto che sia difficile non la rende però meno necessaria, non per un sentimento di affetto rispetto al lavoro del capostipite dell’analisi critica dell’economia, ma proprio perchè ancora fondamentale per capire lo sviluppo dell’economia nel mondo contemporaneo.
L’opera di Marx nel dibattito accademico ottocentesco e contemporaneo.
Abbiamo già esaminato come sia nata la materia economica in occidente e le idee dei primi esponenti, definiti proprio da Marx come “classici”1, i quali pur provandoci non erano però riusciti a trovare una spiegazione completamente convincente sull’origine del valore.
Nel contesto di incertezza delle proposizione economiche di fine ottocento, Marx è stato l’autore che più di tutti è riuscito a sistemare e sintetizzare i temi della materia economica dandogli una trattazione organica. In questo senso può essere definito come l’ultimo dei classici e il primo critico dell’economia politica. Non troverete però questa descrizione di Marx nei libri di storia economica e nemmeno nei libri di economia o di filosofia ed anzi fra gli economisti successivi, pur essendo chiaro che la maggior parte si sono effettivamente confrontati col lavoro di Marx, quasi nessuno recupera o sviluppa l’analisi marxista esplicitamente.
Solitamente infatti quando un economista successivo a Marx si riferisce alla “teoria del valore” nomina spesso Ricardo e raramente Marx, pur essendo del tutto evidente che i richiami in questione riguardino la teoria marxista e non certo quella ricardiana il cui apporto all’economia scientifica è quasi tutto di stampo liberista, come diremmo oggi.
Nei prossimi articoli mi soffermerò sull’analisi marxista e in particolare sulla parte che critica e completa l’analisi classica.
Vi propongo una lista delle parole chiave marxiste. È molto lunga e già da questa lista si capisce che il contributo ricardiano nella teoria marxista è poca cosa.
Ecco la lista delle parole chiave o caratteristiche dell’analisi marxista:
- comparsa e definitiva affermazione della merce, che esisteva anche nel medio-evo, ma che ora serve come strumento di arricchimento. Una merce è tale per il suo valore di scambio. E il valore di scambio permette di creare il modello D-M-D’ (Denaro – Merce – più Denaro).
- Distinzione fra valore di scambio e valore d’uso (di base e quasi data per scontata)
- Distinzione fra lavoro semplice e lavoro complesso
- Tutto il lavoro viene però ridotto a lavoro astratto, socialmente necessario, cioè medio.
- Affermazione del denaro come equivalente generale che nasconde il ruolo del lavoro e funzioni della moneta.
- Trasformazione del lavoro da attività creatrice di valori d’uso ad attività creatrice di valori di scambio.
- Circolazione delle merci e circolazione del capitale
- Analisi del plusvalore
- Formazione del valore e del prezzo. Sul valore non c’è dubbio, il prezzo invece in parte soggiace alla volontà del mercato, questo è infatti un punto delicato.
- processo lavorativo e processo di valorizzazione
- Plusvalore assoluto e saggio di plusvalore
- plusvalore relativo
- cooperazione → manifattura → macchinismo. Nascita della classe operaia
- Ruolo del salario
- Accumulazione e accumulazione originaria
- Rapporto capitale costante – capitale necessario o variabile
- Saggio di profitto
- Crisi di sovrapproduzione
In realtà su questi ultimi 2/3 punti potremo solo dire cose molto veloci (per non dire di tutte le cose che sicuramente abbiamo tralasciato in questo elenco).
Marx è un autore che ha scritto tantissimo non solo di economia e non sempre per spiegarla. Quanto al Capitale chi conosce bene la storia dei suoi lavori dice che la maggior parte dei testi che lo hanno preceduto, dal punto di vista economico, erano propedeutici alla sua stesura.
Il Capitale è formato da 3 libri, ma solo il primo è stato dato alle stampe quando Marx era ancora in vita, quelli successivi sono stati invece messi in circolazione da Engels dopo la morte dell’autore. Non che Engels abbia travisato quanto aveva scritto Marx, semplicemente quanto aveva scritto Marx era in prima stesura e quindi non completo di suo.
Era giusto? Era sbagliato? Difficile metterci un punto. Sicuramente era importante.
E se dovessimo giudicare sempre le teorie economiche da quanto di giusto e corretto prevedono del movimento economico della società, avremmo già finito di discutere.
C’è poi da inquadrare il contesto storico in cui Marx scrive. Siamo nel pieno dell’ottocento, in un periodo storico molto convulso, ma ancora “tradizionale” in molti suoi aspetti.
La società è ancora una società statica, basata principalmente sull’agricoltura, in cui vige una rigida divisione in classi che non sono solo economiche, ma di origine culturale. I poveri sono tali non solo in quanto gli è impedito l’accesso a dei livelli di consumo dignitosi (anche se nell’ottocento la povertà dilaga), ma in quanto non possiedono né diritti politici, quali il diritto di voto, né diritti sociali, quali l’istruzione e questa condizione è ancora sorretta da un apparato ideologico imponente.
La tecnologia ha fatto un balzo avanti gigantesco, ma è pur sempre una tecnologia che si basa sul carbone e sul vapore. Si iniziano a costruire ferrovie e grandi navi per i viaggi trans-oceanici, ma per muoversi da una città all’altra si prende ancora la carrozza o il carretto.
Quanto alla politica degli Stati, siamo in un periodo in cui si afferma la colonizzazione e la formazione degli imperi che iniziano a sfruttare sistematicamente le risorse delle colonie come possedimenti personali, se non dei sovrani (e a volte proprio dei sovrani), quanto meno degli Stati e in questi Stati si vanno affermando compagnie che hanno il monopolio statale di sfruttamento delle risorse.
L’Inghilterra traina la cordata e Marx è in Inghilterra per l’ultima parte della sua vita a lavorare.
Gli Stati Uniti galoppano, ma sono ancora un paese di frontiera, senza alcuna velleità di influire su nessuno scenario politico internazionale.
L’analisi economica è ancora prevalentemente di origine borghese e Marx con la sua analisi è completamente fuori contesto. Lui mentre studia l’economia, lavora anche per creare la prima internazionale dei lavoratori o almeno un’organizzazione comunista internazionale in grado di far fronte all’avanzata impetuosa del capitalismo. Con gli economisti classici che discutono dell’origine della formazione della ricchezza (il problema è l’esser ricchi) Marx non c’entra niente.
Già Lenin parlando di Marx indicava a chi si cimentava a studiarlo alcune avvertenze. Prendendo in mano Il Capitale, infatti, si può provare un certo spaesamento, perchè ci si trova di fronte ad un testo economico vero e proprio, scritto in un linguaggio tecnico e scientifico. E c’è tantissima matematica.
Lo spaesamento che si può registrare è dovuto al fatto di non trovarci niente di quella che a scuola (al liceo e nelle università) o nelle aule di partito è comunemente insegnata come teoria marxista. Non c’è niente riguardo la classe e men che meno riguardo la lotta di classe. Niente che abbia a vedere con la storia o col materialismo come metodo di analisi. Marx cita un sacco di fonti, autori, leggi, anche letteratura e filosofia, ma nessuna teoria politica. Nè mai effettua ricerche empiriche, come diremmo oggi. Non ci sono risposte a questionari nelle pagine di Marx. Niente riguardo la società, la struttura e la sovrastruttura. Niente sulla religione, niente sulla teoria e prassi, niente sull’organizzazione.
Insomma leggendo il capolavoro di Marx non ci troviamo niente di quanto abbiamo imparato a conoscere come teoria marxista e la cosa può generare spaesamento.
Prima di declassare il libro di Marx a semplice compendio di economia, ci sono da tenere a mente almeno alcune questioni.
Intanto in maniera assolutamente unica nella storia economica, Marx non lavorava da solo, ma in collegamento e stretta sinergia con Friedrich Engels. E già sapendo questo si capisce perchè un 30% del libro circa è dedicato ad un’analisi di dettaglio delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori nelle fabbriche, collegando questa descrizione all’orario lavorativo e alle trasformazioni industriali. E in questo tema di ricerca fu Engels l’apripista che condusse in età giovanile un’inchiesta sulla condizione di vita della classe operaia in Inghilterra.
Inoltre gran parte dei temi detti prima e che noi colleghiamo in maniera più o meno esplicita con la teoria marxista, sono in realtà elaborazioni dello stesso Engels, il quale ha compiuto degli studi che servivano a corroborare la teoria marxista in senso proprio ed essendo questi studi molto più comprensibili ed accessibili del Capitale stesso sono sicuramente passati più facilmente nella tradizione socialista e comunista successiva, contribuendo in maniera significativa a definire il recinto della teoria marxista.
Infine, come dicevo prima, è ad opera anche di Lenin che abbiamo una categorizzazione del pensiero marxista. Lenin, infatti, avverte che quando ci troviamo di fronte all’opera di Marx, se vogliamo inquadrarla correttamente, si devono riconoscere almeno tre aspetti dell’analisi marxista. Una chiave è quella filosofica (Marx ben prima di essere un economista è un filosofo) e si riaggancia sia ai suoi studi giovanili sia al periodo storico da lui trascorco in Germania. Un’altra chiave è quella politica e socialista che trova un’origine nel periodo trascorso in Francia. Infine la chiave economica viene collegata temporalmente con l’ultima parte della sua vita e geograficamente all’Inghilterra.
Chiaramente quella di Lenin è una semplificazione del pensiero marxista e non ci sono steccati fra un Marx e l’altro. Così il primo Marx più filosofico è strettamente legato a quello politico in cui l’esigenza di conoscere la realtà con gli strumenti della filosofia ha subito un risvolto politico importante nei suoi scritti. Allo stesso modo il Marx economico sorge quasi in contemporanea al suo lavoro come divulgatore e animatore politico.
Quello che è certo è che alla fine dei suoi studi, Marx decide di dedicarsi principalmente (e mai in maniera esclusiva) alla critica della teoria economica politica, allora in fasce, ma già pericolosissima.
E lo fa con la terminologia tipica dell’analisi economica.
Come abbiamo visto nello scorso capitolo gli “economisti classici” avevano un grande interesse per una categoria economica particolare, cioè la categoria del valore. Erano in particolare ossessionati dal cercare di capire come si generava questo valore, che cosa fosse e perchè tantissime persone (fra cui loro stessi economisti medesimi) grazie a questo si erano arricchite in maniera incredibile.
Il problema principale era che valore e denaro accumulato non coincidevano.
Il loro denaro, nelle loro mani, ben sapevano che non aveva alcun valore e che da un giorno all’altro si sarebbe potuto trasformare in carta straccia, eppure loro restavano ricchi lo stesso.
Avevano cercato di agganciare l’origine del valore alla presenza di ricchezze in un paese (oro, tesori e altri beni di lusso), ma poi questo oro erano costretti a trasformarlo in denaro sonante (monete e talleri) e a farlo circolare fra tutti i cittadini e la cosa non gli tornava. Avevano poi provato a risolvere la questione con il tema dei possedimenti, così che diventava il possesso della terra l’origine della ricchezza, ma questa teoria causava altrettanti problemi di quanti ne risolvesse, giacchè pur essendo scrittori di tanto tempo fa vedevano bene che c’erano tante categorie di ricchi che nascevano e che non possedevano né il tesoro di Stato, né appezzamenti terrieri.
Alla fine avevano scoperto che il valore derivava dalla circolazione dei beni e che questi beni per essere messi in commercio dovevano prima essere “lavorati” e, con non poche lamentele, avevano finito per riconoscere che anche gli operai avessero un loro posto nella catena della creazione del valore.
Diciamo che il posto che veniva assegnato agli operai era quello delle bestie da soma o di poco superiore.
Di questo loro quadro così edificante, avevano fatto un dogma e dichiarato che questo modello era valido in qualunque epoca e a qualunque latitudine.
E seppure, preso singolarmente, ogni economista, poteva anche discostarsi parzialmente da una visione di questo tipo, nel complesso il quadro era questo.
Fra quanti sicuramente si sono discostati di più da questo quadro il posto principale spetta ad Adam Smith, a cui infatti Marx dedica svariatissime pagine e disseminate in ogni dove per criticarne le conclusioni.
L’inizio stesso del capitale è una citazione diretta de “La ricchezza delle nazioni” di Adam Smith. Il Capitale infatti inizia così: “La ricchezza delle società, nelle quali domina il modo di produzione capitalistico, si presenta come una enorme raccolta di merci”. Se uno toglie quell’inciso fastidioso sul modo di produzione capitalistico e quel riferimento alla “società” invece che alla nazione è una citazione diretta del titolo del libro di Adam Smith.
Di A. Smith, i cui contributi principali alla teoria economica abbiamo visto nello scorso capitolo, ci sono da dire alcune cose.
Pur non dovendo perderci troppo tempo, possiamo dire che è l’autore più importante dell’economia classica in quanto ha inaugurato lo studio economico come materia a se stante ed ha definito gran parte dei concetti economici (valore d’uso, valore di scambio, prodotto interno lordo, prezzo naturale, prezzo di mercato, ecc…). Inoltre ha spiegato il meccanismo della concorrenza, parola magica che ancora fino a non molto tempo fa risuonava continuamente nei discorsi dei politici.
Come persona però Adam Smith non era un accademico rigoroso.
Originariamente professore di filosofia, era un simpatizzante (ma non esponente) dell’utilitarismo, convinto che il benessere collettivo fosse l’obiettivo principale da porsi e che questo lo si potesse raggiungere solo attraverso il perseguimento del benessere individuale. I suoi testi e le sue analisi pur essendo intelligenti e precisi nell’individuare molti dei gangli fondamentali dell’analisi economica, sono completamente irreali e idilliaci dal punto di vista storico.
Insomma Adam Smith è lo scienziato che sviluppa una grande scoperta teorica, ma convinto filosoficamente del buon andamento del mondo, è incapace di dare una descrizione veritiera della realtà.
Per A. Smith infatti l’uomo è certamente un essere sociale, ma ciò che lo caratterizza e differenzia dagli altri animali è precisamente la necessità di scambiare i beni. Mentre un animale adulto può vivere una vita come essere indipendente, l’uomo ha bisogno della cooperazione dei suoi simili (fratelli, dice lui) e ottiene questo aiuto dando qualcosa in cambio. La ricchezza dunque, secondo lui, deriva dalla divisione e specializzazione del lavoro, ma la società invece si fonda sullo scambio e la concorrenza.
L’interesse di Ricardo (di cui pure ci siamo occupati nel capitolo precedente) riguardo l’analisi smithiana, fu di stringerla dentro delle strettoie logiche da Adam Smith stesso inaugurate, ma da cui non potesse più sciogliersi, per contrastare il concetto fondamentale che “la ricchezza” non appartiene affatto alle nazioni, ma invece alla classe dei capitalisti e dei proprietari terrieri se proprio vogliamo ancora includerli fra i ricchi.
Il quadro che ne viene fuori, ancora oggi dominante e su cui se avremo tempo torneremo in futuri articoli, è un quadro statico con delle leggi che valgono per sempre.
Ad essere precisi si riconosceva nella figura dell’imprenditore o del capitalista un nuovo soggetto sociale, ma questo capitalista non era trattato come un soggetto storico, con delle caratteristiche dipendenti dal contesto, incarnava invece la forma dell’Uomo compiutamente realizzata, quasi metafisico.
Teoricamente e di fatto, o meglio teoricamente perchè di fatto, il padrone del mondo.
Espongo il concetto per essere chiara. La figura dell’imprenditore, del capitalista, dell’uomo nuovo è quella di una persona che applicando dei sani principi di astensione dal consumo e di risparmio e grazie alle sue capacità intuitive, erige una grande impresa che dirige come il pater familia dirige una casa nel feudalesimo, in modo retto, economico e protettivo. Insomma l’uomo nuovo è parsimonioso, autorevole, retto, onesto, intelligente e grande innovatore.
In poche parole del tutto inesistente.
Sopratutto in Inghilterra è una figura antistorica, giacchè era da tempo che in quel paese si erano affermate le compagnie private e le forme societarie di proprietà. Inoltre gli industriali avevano già colonizzato la scena politica e tutto si può dire tranne che la loro ricchezza dipendesse dal loro genio e non invece da una legislazione ormai da tempo piegata al loro volere. Nella migliore delle ipotesi la figura di imprenditore che viene tratteggiata nei trattati degli economisti di inizio ottocento è una figura appartenente al medioevo, quando la borghesia era una classe nascente e il mercante colui che apriva nuove rotte commerciali espandendo in tal modo i confini delle città e dei villaggi, ma di questa persona nell’ottocento non esiste più alcuna traccia.
All’operaio, al bracciante, al contadino veniva riservato un ruolo che era perfettamente continuo con la visione del servo della gleba del medioevo: un soggetto passivo e manovrabile che i capitalisti potevano amministrare nel numero, nel luogo e nel modo di impiego a proprio piacimento.
Insomma inizia il cammino della teoria economica, una teoria classista e pericolosa.
La teoria marxista. La merce, il lavoro, la forma di valore.
Converrà ribaltare la prospettiva e iniziare a mettere dei punti fermi, che possano servirci per capire l’analisi marxista e le teorie economiche. Un punto fondamentale è di inquadrarle nel loro contesto storico e culturale.
Non voglio in questa sede addentrarmi nei legami che sempre si realizzano fra realtà effettiva, materialistica come direbbe Marx, e comprensione approssimativa, nella migliore delle ipotesi, della stessa. Quel che è certo è che gli economisti non fanno l’economia, ma si limitano a studiarla, riportano quanto vedono e dalle loro parole esce una visione più o meno accurata di quanto si sta svolgendo nella realtà economica sotto i loro stessi occhi, di questa realtà poi esprimono un parere (mi piace non mi piace) e questo è tutto.
Dunque è certamente uno dei contributi fondamentali dell’analisi marxista quello di aver posto con certezza lo sviluppo del modello di produzione capitalistico nella storia, legandolo a specifiche condizioni storiche, ma senza un vero e proprio determinismo.
La Storia passa per il capitalismo, ma il capitalismo non è affatto la fine della Storia.
Il capitalismo ha infatti vari fattori che ne preparano l’ascesa, ma fino a che non trovano l’elemento determinante, non inducono a un processo di trasformazione totale della realtà economica. L’elemento determinante è abbastanza lampante ai tempi di Marx: cioè il processo di industrializzazione.
Prima dell’avvento della grande industria o macchinismo o rivoluzione industriale infatti esistono forme economiche – che cercheremo di illustrare – che tratteggiano la nascita e lo sviluppo di una nuova classe, quella borghese, ma non esiste ancora una trasformazione vera e propria della società in società capitalista. Questo salto avviene proprio sotto gli occhi di Marx e le caratteristiche da lui descritte restano fondamentalmente valide anche nei secoli successivi, seppure il capitalismo ha letteralmente cambiato l’aspetto del mondo da quei tempi ad oggi.
Iniziamo a vedere quali sono.
I beni e servizi2, che circondano e definiscono la nostra vita materiale, hanno alcune caratteristiche:
1- sono frutto del lavoro umano
2- sono utili, devono servire cioè a soddisfare un’esigenza o bisogno particolare
3- da essi dipende la nostra sopravvivenza nel mondo
4- con essi garantiamo la riproduzione della specie umana
Ma i beni, da un certo stadio di sviluppo in poi, non si danno in natura (i prodotti della terra) e non vengono “autoprodotti” per l’autoconsumo o, per meglio dire, l’autoproduzione non è sufficiente a produrre tutto quanto un uomo necessita, così per vivere gli uomini devono scambiarsi questi beni, facendoli passare di mano in mano e trasformandoli perciò in semplice merce.
La merce, categoria di partenza dell’analisi marxista, ha una caratteristica specifica e a suo modo incredibile cioè quella di avere una natura duplice, in quanto esprime contemporaneamente sia un valore d’uso sia un valore di scambio.
Abbiamo già visto che cosa sono il valore d’uso e il valore di scambio, ma lo ripeto perchè sono termini fondamentali dell’analisi marxista.
Come valori d’uso le merci si differenziano per qualità, sono cioè prodotti differenti e di vario tipo che soddisfano vari bisogni umani. Questi bisogni non devono per forza “nascere dallo stomaco”, ma possono nascere anche dalla “fantasia” dell’uomo3.
Come valori di scambio le merci si differenziano invece per quantità (costano prezzi differenti), “non contengono neppure un atomo di valore d’uso”4.
La merce è dunque un valore d’uso che può essere scambiato, e solo la merce possiede questa duplice caratterizzazione.
Alcuni beni, quali un campo, la legna, l’acqua di fonte, ecc… possono non avere valore di scambio perchè si danno in natura, e quindi non esser merci, ma mantenere comunque un valore d’uso loro.
Altri beni, come il diamante, l’oro, un quadro bello, ecc… possono avere anche un loro valore d’uso, principalmente estetico e valido solo per una categoria piccolissima di persone, cioè gli ultra ricchi. La cosa che li caratterizza è invece di essere portatori di un altissimo valore di scambio.
La gran massa delle merci però, senza arrivare a questi estremi, possiede sia un valore d’uso che un valore di scambio socialmente riconosciuto e alla portata di un numero più o meno vasto di persone.
Da questa caratteristica della merce sorgono due tipi di problemi, specifici dell’epoca capitalista.
1- da che cosa dipende il valore di scambio della merce?
2- come si fa ad accumulare questo valore di scambio?
Il valore di scambio di una merce è quello che permette di mettere in relazione svariate merci fra di loro, cioè di dare le proporzioni in cui due tipi di merci – mediamente utili per un gran numero di persone – possano passare dalla mano di una persona, alla mano di un’altra.
Per spiegare per bene il processo, Marx compie una delle sue famosi astrazioni cioè assume, a questo stadio dell’analisi, che tutti gli uomini siano ugualmente produttori.
Mario produce vino, ma non pane.
Tobia produce pane, ma non vino.
Entrambi sono abbastanza specializzati nella produzione dei loro beni (hanno probabilmente una famiglia alle spalle che li aiuta in questa produzione) da produrre oltre al valore d’uso a loro necessario, anche un sovrappiù che per loro non rappresenta un valore d’uso.
Così Mario e Tobia si incontrano, mercanteggiano un po’, magari si dicono anche:
“Guarda a me non serve affatto questa bottiglia di vino, prendila tu”
“Ma per carità, non potrò mai ricompensare un dono così gradito con del semplice pane”
e insomma alla fine scambiano 3 kili di pane per un litro di vino.
Questa proporzione 3 kg di pane = 1 lt di vino è ciò che manda ai matti gli economisti borghesi.
Le merci per stare così in proporzione devono avere una cosa che le eguaglia e questa cosa è la quantità di lavoro necessario a produrle, cioè la produzione di 3 kg di pane necessita di altrettanto tempo di lavoro quanto la produzione di un litro di vino.5
“Se si prescinde dal valore d’uso dei corpi delle merci non resta loro che una proprietà: quella di essere prodotti del lavoro”6
Citiamo al riguardo un brano di Marx, perchè se è il tempo di lavoro impiegato a produrre una merce a definirne il valore (e di qui in avanti se non diversamente specificato valore avrà sempre il significato di valore di scambio), allora potrebbe sembrare che quanto più tempo un operaio impiega a produrre quella merce, tanto più essa valga sul mercato.
“Potrebbe sembrare che, essendo il valore di una merce determinato dalla quantità di lavoro speso nella sua produzione, quanto più un uomo è pigro o inabile, tanto più la sua merce abbia valore, perchè abbisogna di un tempo tanto maggiore per essere finita. Ma il lavoro che costituisce la sostanza dei valori è lavoro umano eguale, dispendio della medesima forza lavoro umana. Qui l’intera forza lavoro della società figura come una sola e medesima forza lavoro umana, benchè sia composta di innumerevoli forze lavoro individuali. Ognuna di queste è forza lavoro umana identica alle altre, in quanto possiede il carattere di forza lavoro sociale media e come tale agisce. Non abbisognando nella produzione di una merce che del tempo di lavoro mediamente o socialmente necessario”7
Questa definizione di lavoro mediamente o socialmente necessario, nonché quella di lavoro astratto socialmente necessario, è una categoria centrale dell’economia marxista e dipende da tantissime variabili. Non è infatti il tempo di lavoro individuale che determina il valore di scambio di una merce, ma quello che deriva da quanto tempo tutti i produttori di quella merce impiegano nel produrre la stessa identica merce.
La grandezza di valore di una merce infatti rimarrebbe costante se fosse costante il tempo di lavoro richiesto per produrla, ma questo varia continuamente.
La concreta misurazione del valore di una merce da una parte dipende dal meccanismo della concorrenza e dello sfruttamento della forza lavoro che mette i produttori in competizione fra di loro e li spinge a produrre tante più merci nel minor tempo possibile; e dall’altra parte e principale dipende dalle forze produttive impiegate nel processo di produzione. È questa una delle più famose leggi marxiste: quanto più crescono le forze produttive, tanto diminuisce il valore di una merce.
“In Inghilterra, per citare un esempio, dopo l’introduzione del telaio a vapore bastò forse la metà del lavoro di prima per trasformare in tessuto una data quantità di filo. In realtà per questa trasformazione, al tessitore a mano inglese occorreva lo stesso tempo di lavoro che in passato, ma adesso il prodotto della sua ora lavorativa individuale rappresentava soltanto mezz’ora di lavoro sociale; quindi, discese alla metà del valore precedente”8
Anche il lavoro ha una duplice natura: come lavoro utile e concreto, cioè specializzato in qualche forma (sartoria, tessitura, ecc…) è sempre esistito. Per Marx infatti è il lavoro che definisce l’essere umano e media il rapporto di ricambio organico dell’uomo con la natura. In questo senso la divisione sociale del lavoro nasce prima dell’avvento della merce e ne è condizione di sviluppo, ma nel momento in cui la merce prende il sopravvento nel rapporto economico e diventa l’unico riferimento del modo di produzione, il lavoro concreto ed utile viene ridotto ad un’unica sua qualità, cioè quella di essere dispendio di forza lavoro umana. Cioè lavoro che crea valore.
È utile a questo punto aggiungere un’altra distinzione marxista. Abbiamo infatti visto la distinzione fra lavoro utile, concreto e tempo di lavoro socialmente necessario.
Ora vediamo quella fra lavoro complesso e lavoro semplice. Non è sempre bene specificato a quali tipi di lavoro si riferiscano questi due termini, ma in generale con lavoro complesso potrebbe intendersi quello che necessita di periodi lunghi di formazione e con lavoro semplice quello che si può fare senza formazione.
Marx cerca in questo modo di risolvere e ricomprendere la dicotomia fra “lavoro duro” e “lavoro semplice” di A. Smith che introducendo una distinzione di questo tipo voleva rappresentare il fatto che non tutti i tipi di lavoro producono la stessa quantità di valore di scambio.
Marx accetta questa distinzione, cioè che non tutti i lavori concreti producano lo stesso valore a parità di tempo impiegato e lo fa cercando il minimo comune denominatore nel lavoro medio astratto, di modo da scomporre ogni lavoro concreto in parti di lavoro sociale uguale. Per questo motivo il lavoro complesso viene anche detto lavoro potenziato o moltiplicato perchè vale come moltiplicazione di lavoro semplice e per cui una minor quantità di lavoro complesso è uguale a una maggior quantità di lavoro semplice9.
Torniamo al mondo astratto e ideale dei semplici produttori. In questo mondo ideale gli uomini si scambiano fra di loro i prodotti del lavoro. Tela contro abito. Abito contro vino. Vino contro Bibbia. Le più svariate proporzioni in cui le merci si scambiano, costituiscono quelle che Marx definisce “forme di valore” e di cui individua le principali caratteristiche.
La forma di valore semplice è quella caratterizzata da questo tipo di relazione: 20 braccia di tela = 1 abito (x merce a = y merce b). In questa relazione 1 abito vale come equivalente di 20 braccia di tela. Cioè, ancora, per il tessitore che produce tela e ha sovrabbondanza di tessuto, 1 abito è l’equivalente di quante braccia di tela è disposto a produrre per entrare in possesso di 1 vestito intero. In questa forma di valore semplice già si svela l’origine del valore. Esiste cioè qualcosa che eguaglia questi due valori d’uso e questo qualcosa è il tempo di lavoro necessario a produrli. In questa relazione l’abito funge da equivalente della tela. Cioè il suo valore d’uso si trasforma “in forma fenomenica del suo opposto”, cioè del valore di scambio.
Questa sua metamorfosi che sembra eguagliare due cose diverse, mele e pere, utilità e valore, è ciò che occulta e rende difficile capire la relazione economica che si nasconde nella produzione e nel commercio capitalista.
Se messa in moto questa forma di valore semplice è in grado di spiegare anche il variare delle proporzioni in cui si scambiano le merci. Infatti al dimezzarsi del tempo di lavoro necessario a produrre la tela, per esempio perchè è stato introdotto il telaio meccanico, anche il suo valore si dimezza e 20 braccia di tela potranno essere scambiate solo con mezzo abito (per es. un paio di pantaloni). Se invece si dimezza il tempo di produzione necessario per entrambe le merci, la proporzione in cui si scambieranno resterà identica…
Che succederà in questo caso al tempo di produzione così risparmiato? Niente di buono.
Se proviamo ad estendere questa prima forma di valore, abbiamo poi quella che si chiama forma di valore totale o dispiegata. 20 braccia di tela = 1 abito; oppure 1 busta di caffè; oppure 2 buste di the, ecc… (x merce a = y merce b; z merce c, ecc…)
La forma di valore dispiegata mostra che non sono i diversi tipi di valore d’uso che vengono scambiati fra di loro e neanche i diversi lavori concreti che si comparano l’un l’altro, ma solo il tempo di lavoro socialmente necessario a produrli. Questa forma di valore, così come quella precedente, è indipendente dalle volontà dei singoli produttori o permutanti, è invece la situazione che questi si trovano effettivamente di fronte quando devono quantificare il valore del loro lavoro concreto. Il lavoro concreto e utile si trasforma “in forma fenomenica del suo opposto” cioè in lavoro astrattamente umano, il lavoro privato in forma di lavoro immediatamente sociale.
Facciamo un terzo passaggio e passiamo alla forma di valore più complicata (ma più ovvia). Cioè la forma di valore generale. Questa forma di valore legge l’uguaglianza precedente all’incontrario (1 abito; oppure 1 busta di caffè; oppure 2 buste di the = 20 braccia di tela). In questo caso è la tela che funge da equivalente di tutte le altre merci e serve a mettere in luce il ruolo stesso dell’equivalente.
Qui le 20 braccia di tela, assurgono a un ruolo incredibile: il suo possessore è in grado di ottenere qualunque altra merce in cambio della tela. Ogni merce si riflette nel valore della tela e chiunque possegga della tela è un uomo libero che può entrare in possesso di qualunque altro bene gli serva. In questo esempio la tela funge cioè da “equivalente generale”, categoria centrale e fondante dell’economia.
Ma prescindendo dall’esempio specifico della tela, che cosa mai sarà questo equivalente generale di tutte le merci? Lo abbiamo già detto, ma lo ripeto, perchè la cosa non è di immediata comprensione: si tratta del lavoro.
Storicamente però questa forma di valore generale non è così appariscente come ve l’ho spiegata io e ruolo di equivalente generale lo ha invece assunto il denaro.
La quarta e ultima forma di valore è la forma di denaro che è appunto questa (1 abito; oppure 1 busta di caffè; oppure 2 buste di the = 20 grammi d’oro).
In economia questa forma di valore è quella tipica e viene chiamata prezzo.
Prima di addentrarci nelle problematiche relative al denaro e alla sua funzione principale che è quella di mediare e portare in vita la circolazione delle merci, converrà spendere ancora due parole su una conseguenza che la forma di valore genera nella società e tema caro a Marx stesso, cioè quello del feticismo delle merci.
Per trovare un paragone efficace di come la forma di valore riesca a nascondersi, mimetizzarsi, camuffarsi, occultarsi e quasi dileguare alla coscienza bisogna, secondo Marx, cercare un paragone col mondo religioso. Da ateo qual era, Marx riteneva che Dio e tutti gli dei precedenti, non fossero mai esistiti e che fossero in realtà solo una creazione immaginaria dell’essere umano. Una rappresentazione ideata dagli uomini, che nel momento in cui va in scena, si separa dagli uomini stessi, acquista gambe proprie e si relaziona con gli uomini come se fosse realmente esistente.
Così come il misticismo anche il valore di scambio acquista una parvenza propria, separata da ciò che lo ha generato, cioè dal tempo di lavoro. Il valore delle cose non appare confrontando direttamente lavoro omogeneo a lavoro omogeneo, ma solo nel rapporto fra le cose stesse. Non sono gli uomini a confrontarsi fra di loro in questo rapporto sociale, ma gli oggetti, le merci, che solamente all’apparenza hanno un valore intrinseco. Il fatto stesso che questo valore muti di continuo rafforza l’idea che sia stato generato da qualche cosa di esterno all’uomo stesso, che sia proprio delle merci stesse e così finisce per imporsi nel rapporto con gli esseri umani come qualcosa di estraneo di cui gli uomini possono solo prendere atto.
La scoperta che il valore delle merci è determinato mediante il tempo di lavoro socialmente necessario a produrle è una legge scientifica che appare però solo dopo averla analizzata.
Scambio e circolazione delle merci semplice. La funzione del denaro.
Abbiamo visto che la forma di valore semplice (x merce a = y merce b) contiene già tutti gli elementi del processo di scambio delle merci. Un valore d’uso si confronta quantitativamente con un altro valore d’uso diverso e solo in questo confronto si verifica se c’è un’utilità sociale effettiva che permette lo scambio. Questa è nota come forma del baratto che, tutti sanno, si posiziona agli albori della storia umana.
Per vedere affermarsi il valore di scambio bisogna però passare dalla comunità arcaica in cui solo saltuariamente avviene lo scambio tramite il baratto, cioè quando la comunità produce di più di quanto gli sia necessario in quel momento, alla società moderna in cui lo scambio diventa il processo normale per procurarsi qualunque bene necessario alla vita (e il baratto scompare). Stessa metamorfosi devono fare oro e argento che da diventare saltuariamente espressione di equivalente devono guadagnarsi il posto di equivalente generale per tutte le merci.
Noi qui assumiamo che oro e argento siano l’unica forma di denaro. In realtà già ai tempi di Marx, la grande quantità di miniere d’argento che era stata scoperta, stava rendendo questo metallo non più in grado di valere come misura del valore, ma giacchè lo era stato per secoli e secoli, Marx continua a considerarlo tale accanto all’oro. Noi oggi siamo in una fase ancora diversa, in cui il denaro ha solo un corso forzoso e non più una materia vera e propria, ma dato che questa trasformazione è stata completata proprio durante l’epoca industriale conviene arrivare a spiegarla seguendo il ragionamento di Marx stesso.
Intanto il valore dell’oro come equivalente generale viene determinato nella stessa maniera in cui tutte le altre merci si valutano. Attenzione dunque: non è la scarsità che ne determina il valore, anche se in prima battuta appare così, ma invece la difficoltà a reperirlo e il tempo di lavoro necessario ad estrarlo. Si aggiunga inoltre che l’oro ha un valore d’uso scarsissimo (serve solo a fare qualche monile) e che viene estratto proprio per la sua funzione di equivalente generale.
Da secoli, infatti, ogni Stato grande come l’impero romano o piccolo come una città stato dell’antica Grecia, ha usato l’oro per finanziare le guerre. E le miniere di Stato in cui gli schiavi lavoravano senza sosta e il bottino che i guerrieri facevano quando conquistavano una città sono sempre stati rivolti ad ammassare grandi quantità di oro con cui pagare armi e mercenari.
Fuori dal contesto della guerra, esempio troppo facile in realtà, cerchiamo di capire come avviene che il denaro assuma questo ruolo centrale nell’economia.
Di forme di denaro nella storia ne sono state usate tantissime, dalle conchiglie al bestiame, ci sono voluti secoli e forse anche millenni perchè oro e argento diventassero i rappresentanti ideali del denaro.
Ci sono cinque funzioni del denaro che andremo a vedere e, qui avviso, queste funzioni sono rimaste tali fino ad oggi ed altre probabilmente se ne sono aggiunte. Si tratta delle seguenti: 1 – misura di valore; 2 – mezzo di circolazione; 3 – tesaurizzazione; 4 – mezzo di pagamento: 5 – denaro mondiale.
La prima caratteristica che il denaro deve svolgere è quella di fungere da misura del valore, funzione derivata direttamente dalle forme di valore esaminate prima. Oro e argento ben si prestano a questo poichè sono facilmente trasportabili e divisibili, per cui originariamente e in realtà fino a ieri, era il peso che incarnava quella che viene chiamata “scala dei prezzi”. Infatti 20 grammi d’oro esprimono un valore doppio di 10 grammi e 5 grammi sono una parte aliquota di 10 e di 20. Così grazie a queste due caratteristiche (trasportabilità e divisibilità) l’oro diventa il rappresentate ideale del prezzo. Lo diventa così tanto che anche quando viene sostituito dalle banconote, queste raffigurano in un primo tempo, l’oro stesso e vengono emesse in diversi tagli per incarnare la scala dei prezzi.
Inoltre l’oro mantiene queste sue proprietà anche in presenza di cambi di valore. Se per qualche motivo si verifica una scarsità di oro, il valore (il prezzo) aumenterà, ma il fatto che 20 grammi valgano ancora il doppio di 10 grammi non cambierà. Così al variare del valore dell’oro o delle merci, il prezzo di tutte le merci varierà contemporaneamente, segnalando con questo anche che la scala dei prezzi e la misura del valore sono due cose distinte, che solo in rari momenti possono sovrapporsi.
Per quel che riguarda l’oro, fatto fisso il valore delle merci (per esempio questo succedeva in certi periodi nel medio-evo) al variare del valore dell’oro tutti i prezzi delle merci si adeguavano. Se il valore dell’oro aumenta (per esempio perchè l’oro defluisce tutto dai forzieri per travasarsi in qualche altro Stato), il prezzo delle merci cala. Viceversa se il valore dell’oro cala, il prezzo di tutte le merci sale.
Fatto invece fisso il valore dell’oro si avrà che un aumento del valore delle merci (per esempio in seguito a una carestia) determina un incremento del prezzo; mentre una diminuzione del valore (per esempio per l’introduzione di nuove tecniche di produzione) determina una diminuzione anche del prezzo.
Chi è però che mette un prezzo alle merci?
L’uomo, ma non basta dare un prezzo alle cose per trasformarle in oro10.
Prima bisogna realizzare questa trasformazione nello scambio.
Infine se anche una merce dà buona prova di sé e realizza il suo valore di scambio non è automatico che l’oro così ottenuto, in seguito si possa convertire nella stessa quantità di merce. Infatti il valore delle merci cambia continuamente, col variare del tempo di lavoro socialmente necessario a produrle e così anche la sua equivalenza con l’oro o l’argento che esprimono la scala dei prezzi. Dunque là dove in un primo momento 2 sterline d’oro sono l’equivalente preciso di 1 quintale di grano, in un secondo momento questo quintale potrebbe equivalere solo a 1 sterlina o invece a 3.
“Lungi dall’essere un difetto di questa forma, tale possibilità la eleva a forma adeguata di un modo di produzione, nel quale la regola può farsi valere solo come legge media dell’irregolarità, una legge operante alla cieca”11.
Andiamo a vedere questa legge e entriamo nel vivo delle contraddizioni del capitalismo.
Il denaro, oltre alla funzione di misura del valore, possiede altre caratteristiche.
La seconda e altrettanto importante della prima è quella di fungere da mezzo di circolazione. Per realizzarsi, la circolazione delle merci si scompone in due fasi o metamorfosi come le chiama Marx.
Da un lato c’è il momento della vendita o prima metamorfosi della merce: merce si scambia con denaro (M-D), dall’altro c’è il momento della compera o seconda metamorfosi della merce, dove il denaro ottenuto dalla prima vendita si scambia con altra merce (D-M).
Il processo completo è dunque M-D-M.
Merce, denaro, altra merce.
Vendere per comprare.
Pane – denaro – vino.
Il possessore del pane, che ha bisogno del vino, vende 3 kili di pane, ottiene 20 grammi d’oro e subito li va a spendere per comprarsi il vino. Il possessore del vino col denaro ricavato andrà a comprarsi una bibbia. E via di seguito in una catena ininterrotta di scambi che disegnano un circolo ideale.
La circolazione delle merci infrange il muro del baratto, inserendo una catena ininterrotta di scambi di merci. Il denaro funge qui solo da mediatore della circolazione delle merci, cioè da mezzo di circolazione.
Già però si addensano le nubi del capitalismo.
Infatti mentre la circolazione delle merci disegna idealmente un circolo conchiuso, un’altra circolazione è in agguato e precisamente quella del denaro. Infatti il processo può ben essere letto D-M-D, ma ci arriveremo a spiegare questa seconda circolazione, tipica del modo di produzione capitalistico.
Prima seguiamo l’analisi di Marx. Abbiamo visto che il venditore di pane in realtà ha come obiettivo quello di acquistare il vino. Ma i due momenti vendita del pane (M-D) e acquisto del vino (D-M) invece di avvenire nella stessa identica giornata possono accadere in momenti separati.
Al calar della notte tutti gli scambi si chiudono e quello che resta della circolazione delle merci, le quali hanno tutte cambiato di mano, e diciamo pure, in questo mondo ideale chiuso alla sola sfera della circolazione delle merci, mediato il ricambio organico dell’uomo con la natura, cioè fatto il proprio dovere di garantire la sopravvivenza ancora per un giorno del genere umano, al calar della notte, dicevamo, quel che resta è il denaro12.
Tantissimi momenti di vendita senza compera.
Ma quanto denaro resta al calar della notte che il giorno seguente servirà nuovamente per la circolazione delle merci?
Certo, è una domanda un po’ oziosa, ma dato che Marx ci dedica svariate pagine, presumiamo fosse un tema appassionante all’epoca. D’altronde parliamo ancora di grammi d’oro e non di sassolini raccolti per via e può ben essere che capitasse che ce ne fosse troppo o troppo poco.
Dunque ci sono tre aspetti da tenere in considerazione: il valore dell’oro; il valore delle merci e infine il numero degli scambi.
Abbiamo già detto che a valore delle merci costanti, una mutazione nel valore dell’oro o dell’argento comportano una mutazione inversa nel prezzo delle merci. Dunque se il valore dell’oro e dell’argento diminuisce, il prezzo delle merci aumenta e servirà più oro e argento cosiddetto circolante; viceversa se il valore dell’oro e dell’argento diminuiscono. Se sono invece oro e argento a non mutare di valore, il prezzo delle merci rappresenterà solamente mutazioni di valore delle merci stesse. Così all’aumentare del valore delle merci, aumenterà il prezzo e servirà più oro e argento come circolante.
Per quel che riguarda il numero degli scambi invece dobbiamo considerare la quantità di scambi che si realizzano in un ciclo. Dato che abbiamo visto che ogni vendita è in funzione di una compera, quanto più alta sarà la velocità degli scambi, tanto minore sarà la necessità di avere del denaro come circolante. C’è proprio una formula matematica al riguardo che trovate in nota13. Ora questa osservazione a noi potrà pur sembrare banale, ma è materia a cui invece certi soggetti, in primo luogo gli Stati e i capi delle Zecche, hanno dedicato molti studi, quando l’oro e l’argento funzionavano come denaro.
Inoltre la notazione che la velocità degli scambi è essenziale alla circolazione delle merci è una spiegazione non banale tutt’oggi del perchè molte crisi potenziali in realtà non si manifestano, infatti se c’è una diminuzione della rotazione delle “monete omonime” e cioè una diminuzione del numero degli scambi che si realizzano in un ciclo (giornaliero, settimanale, mensile), la diminuzione della velocità darà l’illusione di una scarsità generale di denaro. Viceversa se la velocità degli scambi aumenta, la stessa quantità di “monete omonime” e cioè oro e argento, basteranno per un maggior numero di scambi. Questa caratteristica del numero incrementato di scambi che può essere sviluppato solo con una rotazione accelerata della moneta è diventata fondamentale con lo sviluppo della globalizzazione dove il denaro può spostarsi da un lato all’altro del globo, praticamente nell’arco di una giornata.
In generale infine nella circolazione semplice è raro che venga a mancare il circolante, dato che le variazioni si compensano a vicenda e garantiscono una certa stabilità. Non è proprio la descrizione dell’equilibrio del mercato, tema che in seguito ossessionerà gli economisti, ma è pur sempre una buona descrizione del perchè il mercato sta in equilibrio.
Chi fissa la quantità di circolante? Lo abbiamo già detto strada facendo, ma è meglio soffermarsi.
Sono gli Stati (i comuni, i ducati, le città, le regioni, i regni, gli imperi, ecc…). Questo capitolo è forse l’unico in cui Marx è costretto a parlare di queste entità istituzionali, riconoscendogli un ruolo ufficiale nello sviluppo del modo di produzione capitalista. Gli Stati dunque, che ruolo hanno in questa questione di gestire il denaro?
Seguiamo lo sviluppo del denaro e lo scopriremo.
“Dalla funzione del denaro come mezzo di circolazione nasce la sua forma di moneta”14. Non facciamoci trarre in inganno da Marx: denaro e moneta sono di fatto termini sinonimi, ma vengono usati in maniera diversa per seguire il divorzio che si realizza fra l’oro come denaro e la moneta di corso forzoso.
Abbiamo introdotto alcuni aspetti di cui sarà bene dare una spiegazione. Intanto che cosa sono le “monete omonime”? In questo caso Marx fa un riferimento sicuramente all’economia passata e non so se anche all’economia del suo tempo. Fatto sta che 1- come abbiamo già visto esistono due tipi di metallo che avevano assunto il ruolo di denaro cioè l’oro, ma anche l’argento. E in seguito il rame, per arrivare ai nostri tempi in cui anche l’acciaio va bene. Spesso monete d’oro e monete d’argento circolavano con lo stesso identico valore, in questo senso erano “omonime”; 2- immagino, ma non sono sicurissima, che si tratti anche del commercio internazionale, in cui, sempre parlando di tempi antichi, spostandosi tra la Repubblica di Venezia e il regno di Francia le monete avevano un nome molto diverso perchè “battute” da due entità giuridiche diverse, ma è probabile che avessero lo stesso valore, essendo di solito formate dallo stesso metallo, oro e argento. Per cui di nuovo si può usare il termine di Marx “monete omonime”; 3- infine l’introduzione delle banconote stesse all’inizio del suo percorso storico può essere considerata creazione di monete “omonime”.
Abbiamo anche detto che in questa fase diviene determinante il ruolo degli Stati ed è da tenere sempre presente il contesto di queste circolazioni monetarie che nascono a una data non meglio precisata nel medioevo e arrivano fino a tutto il 1700 e gli inizi dell’ottocento, a seconda anche degli sviluppi politici degli Stati in questo periodo.
Così compito dello Stato è anche quello di fissare la scala dei prezzi e in conseguenza di questa, coniare le monete. La scala dei prezzi originariamente riflette direttamente il peso dei metalli, cioè vengono coniate monete del peso di 5 grammi, 10 grammi, 20 grammi, ecc…
Presto però si realizzano due fenomeni che portano sempre più a divergere il peso dell’oro dalla sua coniatura in monetine. Da un lato c’è un divorzio fra sfere nazionali di circolazione della moneta e mercato mondiale in cui le diverse monete e il valore stesso dei metalli non coincidono più. Dall’altro anche all’interno della stessa circolazione nazionale il valore nominale della moneta e il suo valore reale iniziano a divergere. Cioè per essere più chiari il peso delle monete e quanto lo Stato dichiara che pesano inizia a non coincidere più.
Marx qui è veramente generoso nei confronti dello Stato ed è disposto a riconoscere che questo problema derivi innanzitutto dall’uso che viene fatto delle monete. Il fatto che queste siano soggette ad un uso quotidiano che avviene in modo sempre più esteso e sempre più frequente, logora le monete. Così che quando il Palazzo conia delle monete nuove, queste pesano di più delle loro cugine già in circolazione nel mercato.
Questo fatto che peso reale e quindi valore reale della moneta e valore nominale prendano strade diverse viene via via accentuato dallo Stato stesso.
Marx cita solo di passaggio questa eventualità che invece i sovrani hanno utilizzato spesso e coscientemente: “prendete questo fiorino nuovo di zecca, luccica più di quello che state usando ora, ma pesa un pochino meno, così poco che neanche ve ne accorgerete”.
Insomma di fatto e per non farla troppo lunga è l’uso stesso della moneta, coniata dagli Stati, cioè da istituzioni che via via tutti i commercianti e i lavoratori riconoscono, che inaugura l’avvento della moneta come puro segno di valore. Perso ogni legame col suo peso aureo o argenteo, la moneta diviene tale solo in virtù di quanto c’è scritto sopra che vale. Nascono le monete spicciole, di metallo comune, nascono le banconote.
In un primo tempo e per un paio di secoli in realtà, ancora le banconote rappresentano direttamente un peso aureo, che la banca può sempre convertire. Ed è solo storia recentissima (1974) che ci si sia risolti a scindere il valore del denaro da quello dell’oro.
Il cuore di questo processo di separazione fra valore reale e valore nominale della moneta sostiene Marx è comunque fortemente agganciato al ruolo di questa nella sola sfera della circolazione delle merci. Fintantochè, infatti, ci troviamo ancora nella situazione in cui il denaro funge da mediatore della circolazione delle merci (M-D-M) è ancora nella sua veste immatura in cui vale solo come mezzo di circolazione e in questa funzione può ben essere sostituita da un puro simbolo, dopo quel paio di millenni in cui è rimasta solidamente agganciato al valore dell’oro.
Ci sono infine altre tre importanti funzioni del denaro legate però alla circolazione capitalistica e non a quella di semplice circolazione delle merci.
Nella tesaurizzazione l’oro torna padrone della scena: “il denaro si pietrifica in tesoro e il venditore di merci diventa tesaurizzatore”16.
Dalla circolazione delle merci nasce la passione di conservare il prodotto della prima metamorfosi della merce (M-D), cioè si vende non più per comprare, ma per acquisire il denaro come prodotto.
L’oro è infatti la forma sempre pronta della ricchezza sociale e nel momento in cui ogni merce si muta in oro, non si sa più da che cosa sia stata originata. Così l’oro, a prescindere dalle sue funzioni di misura dei valori e di mezzo di circolazione, acquista una nuova funzione e un nuovo “valore d’uso” come merce in sé e il mercato di questi metalli preziosi si estende. L’oro e l’argento diventano espressioni del superfluo e della ricchezza e in ogni punto del commercio si formano tesori argentei e aurei.
Il tesaurizzatore non è ancora il capitalista e l’unico strumento a cui può far ricorso per ammassare questi tesori è quello di comprare meno di quanto venda. “Vendere molto e acquistare poco è la somma della sua economia politica”17
Come mezzo di pagamento (o moneta di credito) il denaro non è la stessa cosa del mezzo di circolazione. In realtà nell’analisi marxista in questa forma sono ricomprese tutte le variegate modalità di prestiti (pubblici o privati, a breve o a lunga scadenza). In questa forma, infatti, il denaro viene anticipato senza che sia stata fatta una vendita precedente e si formano le figure del debitore e del creditore. La massa del denaro che funge da circolante in un dato periodo e la massa degli scambi di merci non coincidono più, non avvengono nello stesso periodo, ma si creano delle catene reciprocamente dipendenti di debiti e crediti, che vengono a scadenza in momenti diversi.
Finchè tutto va bene le catene si compensano a vicenda e il denaro funge bene da mezzo di pagamento, ma non appena il meccanismo si inceppa, si generano quelle che Marx definisce crisi monetarie. Basta infatti una falla in qualche punto della catena perchè questa si ripercuota a tutti i livelli.
Perchè il denaro come mezzo di circolazione possa essere sostituito in gran parte dal denaro come mezzo di pagamento, il modo di produzione deve essersi molto sviluppato in direzione capitalista. Questo sviluppo che vede alternarsi varie fasi in cui il denaro come mezzo di circolazione e il denaro come mezzo di pagamento si sovrappongono, nel momento in cui prende piede impone la forma del pagamento in denaro come unica possibile, e questa viene adottata anche dagli Stati.
Col suo solito modo di fare contradditorio Marx cita un esempio storico risalente al periodo dell’impero romano, in cui l’Impero si mise in testa di riscuotere i tributi a certe date precise non più in natura, ma in denaro. Il tentativo fallì per ben due volte e per molti secoli a seguire, perchè facendo così l’impero finiva per drenare anche il denaro che invece era necessario come mezzo di circolazione, mandando gambe all’aria l’economia.
Pare oggi difficile capire questo esempio, perchè con le varie forme di pagamento elettronico non può più capitare che in certe scadenze il denaro come numerario, nel suo vestito di banconota sonante, venga a mancare perchè tutta riversata nelle casse delle banche o dello Stato per rispettare le scadenze dei pagamenti, ma nell’antichità e fino a tutto l’ottocento, era in realtà un fenomeno frequente. Se oggi la catena dei pagamenti si interrompe accade per altre ragioni che non sono quelle semplici della mancanza del circolante.
L’ultima funzione e baluardo del ruolo dell’oro come denaro è quella di denaro mondiale. Su questo palcoscenico (nell’ottocento marxista) solo l’oro poteva fungere da mediatore degli scambi internazionali: rappresentante di valore, mezzo di circolazione e sopratutto strumento di tesaurizzazione. Qui l’oro e l’argento vengono incamerati dagli Stati per due vie: 1- come merce (o prodotto delle colonie) con un movimento che va dagli stati produttori di metalli preziosi a tutti gli altri; 2 – col commercio internazionale che si basava sul legame strettissimo della moneta con l’oro. Motivo per cui gran parte dell’economia classica era ossessionata dalla preoccupazione che la bilancia dei pagamenti fosse in attivo e cioè che dal commercio internazionale affluisse oro, nella sua forma di denaro mondiale, nelle casse degli Stati.
1Oltre a quelli citati nell’articolo precedente Marx ne nomina molti altri. Mentre alcuni di quelli che io ho nominato la volta scorsa, tipo Malthus, Marx li piazza semplicemente fra gli economisti “volgari” cioè non scientifici, a suo parere.
2Nell’analisi ottocentesca la merce è composta solo dai prodotti materiali dell’attività umana, ma già a partire dall’analisi di Marx le caratteristiche della merce si appiccicano a tutta una serie di attività che non producono un bene materiale, ma solo un servizio (l’affitto della casa, i servizi delle banche, i bisogni dello spirito). In seguito poi il servizio (assicurazioni, assistenza medica, il rider che consegna a domicilio, il commerciante, ecc…) entrerà a pieno titolo nell’attività economica generale al pari dei beni prodotti.
3Per fantasia Marx si riferisce per esempio a quei bisogni di natura spirituale o passionale, tutti quelli appartenenti al vasto regno della fantasia. Potremmo dire più in generale che non sono bisogni legati alla mera sopravvivenza fisiologica.
4Cfr. Marx il Capitale, UTET edizioni, 2017, pag.110
5Marx, persona più seria di me, parla invece di tela e abito, vino e Bibbia.
6ibidem
7Ivi pag 111-112
8Ivi pag 112
9In seguito a partire da questa distinzione si svilupperà un filone di studi più specifico che seguendo l’analisi smithiana legge anche le differenze stipendiali come derivate da due condizioni: 1- il salario sarebbe il compenso per la fatica e la rinuncia al tempo libero; 2- i differenti salari dipenderebbero dal tempo di vita dedicato al lavoro e il tempo di vita dedicato alla formazione, così che i maggiori salari destinati al lavoro complesso sarebbero un compenso per i periodi di studi che sono improduttivi e dispendiosi.
In realtà nessuna di queste due spiegazioni regge alla prova dei fatti e rimane centrale invece il ruolo del salario come compenso per la vendita della forza lavoro e unico strumento di sopravvivenza dei lavoratori.
10Cfr. Marx, Il Capitale, pag. 177
11Ivi pag. 184
12 “La circolazione [delle merci] trasuda costantemente denaro”. Marx, ivi pag 196.
13Somma dei prezzi delle merci in un ciclo / numero dei giri delle monete omonime = massa del denaro funzionante come mezzo di circolazione, cioè circolante.
Da questa formula non è possibile ricavare in alcun modo la variabile “prezzo delle merci”, trattandosi di una sommatoria in cui tutte le mucche sono nere. Costruita a posteriori è formula utile solo alle Zecche di Stato per capire quante monete coniare per la circolazione semplice delle merci.
14Ivi pag 210
16Ivi pag 217
17Ivi pag 221