3 anni di riforme – quota 100 e il reddito di cittadinanza

NdA: nel corso della seguente esposizione si danno i numeri, trattasi di valori economici. A ogni valore economico espresso in cifre è sottinteso che si faccia anticipare l’espressione “circa”

Nel gennaio del 2019 il governo giallo-verde introdusse due misure di welfare importanti: quota 100 e il reddito di cittadinanza. La prima riguarda le pensioni, la seconda invece uno status economico, cioè la povertà.

Partiamo da quota 100, per quanto mi renda conto che non è un argomento giovanile e pop, ma è comunque importante. Quota 100 è stato un tentativo maldestro che ha cercato di bloccare l’attuazione della riforma Fornero ma, ad ammissione della legge stessa, solo per 3 anni. Alla fine di quest’anno andrà in scadenza e almeno a quanto ho capito io, non si parla più di rinnovarla. Non so perchè di preciso. Pensavo che la Lega ne avrebbe fatto un cavallo di battaglia, ma avrà fatto uno studio e scoperto che i nati dopo il 1960 (gli ultimi che possono usare quota cento sono della classe 1959) sono tutti comunisti e non vale la pena gareggiare per il loro voto. Oppure è in una fase in cui non gli interessa il voto degli italiani ma solo i soldi degli industriali… dopo aver tanto seminato avrà anche da raccogliere quel latifondista infelice, o no? Comunque non lo so se verrà rinnovata, ma il clima non promette niente di buono.

Dicevamo: quota 100. Per chi ha la pazienza di seguirmi vi spiego in cosa consiste: molto semplice, bisogna avere almeno 62 anni di età e 38 anni di contributi entro la fine del 2021. E basta. Non c’è da fare nient’altro. Quando è stata attivata, la solita campagna mediatica del terrore ha detto che con quota 100 c’erano delle penalizzazioni pensionistiche e che ne sarebbe derivata una pensione da fame per chi la sceglieva… Che simpatici burloni! In realtà non c’è nessuna penalizzazione, ma sono proprio le pensioni che sono da soglia della povertà. E stare a lavoro 4 anni in più (quanti ce ne vorrebbero per raggiungere la pensione classica) porta in realtà un beneficio pensionistico di circa 400 euro in più l’anno… al lordo delle tasse chiaramente.

Nonostante questo, tante persone hanno deciso di non attivarla e sono rimaste a lavoro, ne ha usufruito infatti poco più della metà dei potenziali beneficiari, anche se quella metà ha fatto carte false pur di ottenere i contributi necessari per andare in pensione. L’altra metà, forse, ama il proprio lavoro. Oppure si è fatta fare una proiezione della pensione futura e si è spaventata non poco. Anche perchè, a differenza degli altri servizi pensionistici, con quota 100 è proibito svolgere qualunque forma di attività lavorativa. Resta inteso, chiaramente che chiunque raggiunga i requisiti nei termini stabiliti, cristallizi il proprio diritto e in qualunque momento successivo possa decidere di andare in pensione. Ipotizzabile dunque che chi ancora non l’ha usata, la userà appena ne avrà voglia.

Il fatto che la tolgano è comunque una barbarie e una discriminazione inaudita nei confronti di chi non è riuscito nel totopensioni a raggiungere il giusto mix fra data di nascita, anni di contribuzione e “finestra di sperimentazione”.
Su questo versante la pazzia del governo attualmente in carica sta raggiungendo cime di tecnicismo veramente notevoli. Pur di non prolungare infatti una misura del “governo precedente” si stanno inventando di tutto per far accumulare contribuzione (vedi l’esempio del riconoscimento del lavoro part-time) e scivoli agli operai di modo da farli rientrare almeno per un anno ancora nella magia di quota 100, potessero li farebbero anche nascere un anno prima.

Ma non si può nascere prima. Quindi vi auguro a tutti di svolgere un lavoro bello e appagante che abbiate voglia di fare almeno fino a 70 anni e 6 mesi. Sennò l’unica soluzione è il reddito di cittadinanza.

Dunque dicevamo il reddito di cittadinanza.

E qui le cose si complicano.

Questa misura è stata introdotta come misura bandiera del movimento più opportunista che la storia conosca. O forse più trasformista, ma la sostanza è molto simile. Il fatto è che il dibattito sul reddito universale è a tutt’altro livello da quello che è stato condotto in Italia, seppure nelle intenzioni del legislatore (di cui se non altro conosciamo per una volta nome e cognome) era proprio a quel livello che si discuteva ed è solo per la mal riposta convinzione che il compromesso costante sia una cosa positiva che ha finito per limitarlo in quasi tutti i suoi aspetti fondamentali.

Certo è una misura limitata, sconclusionata e inconcludente, funestata da un dibattito di infimo livello fra i promotori stessi della legge che hanno alzato una serie interminabile e incredibile di paletti che rendono veramente ardua l’applicazione della legge stessa.
Ora pare che hanno creato una commissione per studiare il bilancio dei 3 anni di applicazione della legge e a capo della commissione vi hanno messo una sociologa di fama internazionale, o almeno di sicura fama nazionale: Chiara Saraceno. Una giovane signora settantenne di cui aspettiamo con trepidazione di sapere se poter chiamare farabutta impenitente o se invece si tratta di una studiosa con un po’ di sale in zucca. Del suo atteggiamento sulle situazioni di disagio sociale sappiamo questo: ha un morboso attaccamento a perorare la causa dell’incapacità personale e ad appioppare amministratori di sostegno come se fossero assistenti sociali alle persone svantaggiate; d’altra parte ritiene anche che la tutela dei bambini poveri non passi solo dall’allontanamento da situazioni di disagio e che la povertà non sia un motivo sufficiente per recidere i legami familiari.
A questa signora è stato affidato il compito di valutare il RdC.

Ci permettiamo anche noi di fare qualche osservazione al riguardo. Sai mai che ci vogliano dare retta, per comodità e chiarezza espositiva useremo il termine reddito universale finchè ci limiteremo al dibattito teorico sulla materia, e quello di reddito di cittadinanza quando parleremo della misura vera e propria per com’è stata concepita in Italidiotistan.

Abbiamo ancora infatti nelle orecchie i latrati della classe padronale che con un bottino da 300 e più mld di euro non si permette neanche di tacere e ruba l’osso ormai spolpato a un branco di cani molto più laceri e pericolosi di loro. È abbastanza chiaro cioè che sono a caccia di finanziamenti e il reddito di cittadinanza risulta ai loro occhi chissà che tipo di bottino pregiato.

Le critiche in questo senso sono le solite due che dal 1800 sono entrate in loop nella testa dei porci capitalisti. Confutiamole per la cinquemillesima volta, come si usa fare in un dibattito civile.

1- è vero che i sussidi favoriscono l’inedia della classe lavoratrice, scoraggiando la ricerca del lavoro? O per essere più precisi: sono i poveri meritevoli di protezione sociale o invece sono colpevoli della loro stessa situazione di precarietà esistenziale?

Chiaro che la risposta della classe padronale è che la povertà è una colpa e non perdete tempo a chiedervi come questi soggetti possano definirsi al contempo cristiani, che tanto non ne verreste a capo. A noi interessa però capire come mai i poveri o la classe lavoratrice arrivino loro stessi a considerarsi come nemici. La spiegazione in termini psicologici potrebbe essere abbastanza semplice: sono depressi proprio per le condizioni che vivono e depressione e senso di colpa camminano a braccetto. Motivo per cui neanche c’è bisogno della retorica padronale perchè molte persone si sentano in colpa nell’usare o avere bisogno dell’assistenza sociale.
Comunque sia, anche per parlare a queste persone, scendiamo a un livello più vicino alla terra, e spieghiamo perchè il reddito universale deve essere considerato una misura di politica economica vera e propria. Chiaramente riferendoci a un sistema ancora basato sul metodo di produzione capitalista, quale quello dominante e in cui viviamo, che in uno stato socialista avere tutti accesso a un reddito mensile prestabilito, sarebbe proprio l’impalcatura minima necessaria per costruire tutto il resto dello stato. In questo sarebbe molto più simile alla carta moneta e lo si andrebbe a prelevare in banca – socialista, chiaramente – senza troppe formalità con un tetto massimo di prelievo in base alle ore di lavoro prestate e alle necessità specifiche. Così che se uno lavorasse troppo non gli resterebbe il tempo per spendere troppi soldi e se lavorasse troppo poco non si potrebbero prelevare abbastanza soldi da spendere in cavolate.

Dicevo, il livello più vicino alla terra.

Il reddito universale, così com’è stato pensato in alcuni paesi, quali il Brasile, dall’ex-presidente Lula, costituisce comunque una misura di contrasto alla povertà e sarebbe carente dal punto di vista dell’universalità, cioè non spetterebbe a tutti, ma solo alla fascia di popolazione in più difficili situazioni economiche. Ma oltre questo requisito non dovrebbe prevedere nessun’altra limitazione. In una società come la nostra inoltre in cui il costo della vita è molto elevato il sussidio economico dovrebbe essere molto cospicuo. Da noi può andare da un massimo di 1084 euro, a un minimo di 20.

Il tetto massimo viene elargito se una persona si trova in una situazione economica al colmo della sfiga: disoccupato o con reddito molto basso, con moglie o marito e 2 o 3 figli a carico, un affitto da pagare e un disabile in casa. Senza il disabile in casa arriva a un massimo di circa 700 euro, per un disoccupato da solo, con affitto può arrivare a 500 euro e via via si riduce all’aumentare del reddito e delle condizioni di vita.

Può un reddito di 500 euro scoraggiare la ricerca del lavoro? Se hai un affitto da pagare, chiaramente non può scoraggiare la ricerca del lavoro. Se l’affitto non ce l’hai per prendere il sussidio hai due possibilità: o vivi in una comune, detto anche albergo dei poveri; o vivi per strada. Può essere questa una condizione che scoraggia la ricerca del lavoro? Sicuramente si, ma per motivi che col reddito di cittadinanza niente hanno a che vedere. C’è una cosa che il reddito di cittadinanza sicuramente fa: scoraggiare i tentativi di furto, quello si. Ma questo è meglio non dirlo. Nel nostro paese, infatti, anche i ladri sono farabutti e non persone che cercano di sbarcare il lunario.

L’altra cosa importante che un reddito universale fa è scoraggiare lo sfruttamento. Abbiamo capito, infatti, che una misura abbastanza consistente economicamente crea una zona grigia da 0 a 500 euro che è coperta dal reddito e a cui una persona si sente spinta a rinunciare solo in presenza di lavori giustamente retribuiti. E questo è un obiettivo dichiarato del dibattito sul reddito universale, se lo stato protegge dalla povertà, la povertà non può più essere un’arma di ricatto nelle mani dei datori di lavoro e le condizioni lavorative devono alzarsi.

C’è chi a queste motivazioni strettamente economiciste, vorrebbe affiancare anche una carota keynesiana per l’economia nel suo complesso, ma la cosa è talmente risibile come effetto che neanche i capitalisti riescono a crederci. Con 500 euro, infatti, a parte le bollette e i profitti conseguenti delle multiservizi, nessun altro capitalista ha da guadagnarci. I soldi sono infatti talmente pochi che bastano a malapena per mangiare e comprarsi qualche cosa da indossare al mercato. Neanche uno spicciolo di questi soldi entrerebbe nelle tasche dei colossi informatici, automobilistici e affini.

Quindi quanto alla prima domanda: “sono i poveri meritevoli di assistenza sociale?” la risposta dovrebbe essere questa, in spirito marxista. Se l’obiettivo è eliminare la povertà e lo sfruttamento, certamente i poveri sono meritevoli di assistenza sociale! Se l’obiettivo è “nascondere” i poveri, dissimularli fra i ricchi, gettarli nel massacro della competizione capitalista. Allora no, chiaramente il reddito universale ha una funzione contraria. Tanto che se ne deve essere accorto anche Draghi, quando sostiene che questo sarebbe il debito cattivo, da limare via.

A questo punto un comunista potrebbe chiedere? Non finirebbe questo per mettere in competizione percettori “privilegiati” di reddito universale e classe lavoratrice? In termini politici, finchè si è nel mercato del lavoro, la sfida è in effetti significativa. E il gioco consiste esattamente nell’allearsi fra classe operaia e povertà di modo che se il baratro dell’assenza di reddito viene meno si può essere più ambiziosi anche in materia di contratto di lavoro.

2- è vero che il reddito di cittadinanza favorisce il lavoro nero? O per meglio specificare c’è un rischio che si verifichi una complicità maggiore fra datore di lavoro e operaio al fuori busta; o fra committente e prestatore d’opera al pagamento in contanti?

La critica qui riprende in buona parte i discorsi detti sopra e costituisce il compromesso fra padroni e povertà.

Intanto partiamo da una considerazione, il lavoro nero di suo non sarà mai un lavoro ben retribuito, ma si tratterà sempre dei lavori più saltuari e meno retribuiti, per un semplice motivo: se la paga fosse troppo elevata al padrone non converrebbe rischiare la denuncia del mancato versamento dei contributi, dato che i soldi che pagherebbe al lavoratore equivarrebbero agli stessi che pagherebbe versando i contributi. Nessun padrone è fesso. L’accordo generale del nero più diffuso è quello di pagare il netto percepito da un lavoratore contrattualizzato, più se proprio va bene la parte di contributi che in un lavoro a contratto viene trattenuta al lavoratore. Così che il lavoratore abbia la parvenza di starci guadagnando qualcosa, finchè non si accorge di non avere ferie, assicurazione per infortunio, malattia e pensione (no, pensione no, quella fa schifo comunque).

Se il lavoro nero arriva a queste vette, cioè a uno stipendio pieno non dichiarato, effettivamente il problema si pone, per via che reddito di cittadinanza e stipendio pieno sommandosi sono maggiori di solo stipendio pieno. Nella maggior parte dei casi, invece, un lavoro contrattualizzato sarebbe invece sempre preferibile al reddito pur con l’aggiunta di un fuori busta di 2 o 300 euro mensili.

Non condanneremo qui il lavoro nero, né tanto meno chi vi ricorre per sopravvivere. Ma teniamo a precisare che seppure nella legge c’è scritto che i lavoratori stessi sono passabili di condanna penale se venisse scoperta un’eventualità del genere, logica e 60 anni di legislazione vorrebbero che invece il lavoratore a nero che denuncia non è mai passabile di condanna. Là dove viene scoperta una mancata regolarità in un rapporto di lavoro, la regolarizzazione viene sempre imposta al datore di lavoro e mai al lavoratore, che invece viene considerata parte lesa.

Quindi se Salvini sbraita contro il fatto che il Reddito favorisce lo sviluppo del lavoro nero, per piacere ricordatevi, che è lui stesso che ha preteso di inserire nella legge la criminalizzazione del lavoratore a nero e quindi l’omertà su questo aspetto.
In qualunque altro caso: no, il reddito universale non favorisce il lavoro nero, ma spinge alla ricerca di un contratto regolare e ben retribuito.

Al termine di questo panegirico si potrebbe avere la sensazione che in Italia sia stata compiuta un’ottima riforma. Che avranno allora i comunisti da lamentarsi contro questa legge?

Parliamone. Le cose che non funzionano in questa legge sono un elenco lungo lungo.

La prima. Seppure anche noi abbiamo messo in relazione il reddito universale con la ricerca del lavoro, lo abbiamo fatto parlando di un mondo ideale, in cui il reddito funzioni non solo da rete di protezione rispetto alla disoccupazione o inoccupabilità prolungata, ma da vero e proprio regolatore economico. Nella forma però che si è dato a questa misura in Italia se la prima funzione è ancora tutto sommato ricercata, alla seconda si è abdicato del tutto. E qui bisogna entrare un po’ più nel tecnico della normativa vera e propria. Cosa che non sono molto in grado di fare, ma su cui qualche spunto lo darei volentieri lo stesso.

  1. La soglia del reddito andrebbe rivista al rialzo o quanto meno agganciata al costo della vita. Viviamo in un paese in cui le misure di welfare vengono tagliate, non incrementate. Dare un valore prestabilito e molto basso, rischia seriamente di limitare il mantenimento della riforma.

  2. Il solito problema della residenza. È vero che nel codice civile c’è scritto che si può mettere la residenza dove si vuole, ma per farlo è d’uso avere almeno un contratto d’affitto. Vi pare normale che un senza tetto non abbia accesso al reddito?

  3. La ghettizzazione nei confronti dei detenuti o di chi ha riportato condanne penali. Già sono stati condannati una volta, quante volte la devono scontare la loro colpa? Oltre al piccolo dettaglio che queste persone tendono a finire in stato di povertà più spesso delle altre.

  4. Il tema del lavoro congruo, delle 3 offerte a 100 km, dell’obbligo di passare il tempo al centro per l’impiego, l’obbligo dei lavori socialmente utili. Non so neanche da che parte cominciare a dire quanto tutto ciò sia ipocrita, perbenista e insensato. Ma il senso è più o meno questo. Siccome il reddito universale di suo è una misura che attacca il mercato del lavoro nelle sue strutture fondamentali (volendo riformarle e non abbatterle, purtroppo) favorendo una spinta all’equità e all’innalzamento dei salari, le modifiche principali si sono concentrate a silurare il cuore stesso della legge cercando di ridurlo in poltiglia. Ci sono riusciti? In buona misura si. L’impalcatura è talmente tanto indegna che cancella qualunque buona intenzione e se non ha messo limitazioni serie all’erogazione del reddito fino ad oggi è solo perchè non è stata realizzata e se continua di questo passo, con il reddito che diventa la principale misura di welfare nel nostro paese, non lo sarà mai. Ma sarebbe stato meglio non scriverla proprio, conoscendo la protervia dei nostri governanti in alcune regioni, l’arma che gli è stata messa in mano è tutt’altro che secondaria.

  5. L’obbligo di spendere per intero la somma concessa durante il mese. Se questo non accade l’importo non speso viene cancellato e riaccreditato nelle casse dell’INPS. Questa cosa, senza senso, andrebbe proprio cancellata. Non che in capo a un mese di 500 euro ne possano mai rimanere tanti in tasca, ma è una misura che oltre a ridurre la possibilità per i beneficiari di progettare spese sul medio periodo serve a ricordar loro sempre di essere persone dipendenti dalla benevolenza dello Stato, bloccando la loro capacità di amministrare i propri soldi.
  6. Il pagamento con carta bancomat e la limitazione ai 100 euro di contanti mensili. Anche qui racconta di un’idea molto paternalista della povertà e della mancanza di conoscenza del mondo reale e delle reti sociali che attraversano i poveri. È stata giustificata dicendo che non devono andare a giocare i soldi al lotto o in alcool… Incredibile! Ma va bene. Che ci stia pure. Ma d’altra parte sapete perchè hanno permesso che si potessero prelevare i contanti? Per andare a comprare il caffè! Maaa…

 

 

 

 

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