Luana, la pianura e i sentimenti

Luana (che per oggi chiameremo L1) non era molto brava a parlare dei propri sentimenti. Non le piaceva tanto scavare dentro se stessa e preferiva di gran lunga passare il tempo a criticare gli altri. Questo si, le piaceva: dare ottimi consigli! Agli altri. E per sè fare come se tutto fosse sempre uguale.

Per esempio aveva un’amica, che si chiamava Lolita (che oggi chiameremo L2), la quale si era innamorata follemente di un uomo molto impegnato. Talmente tanto impegnato che si dimenticava perfino che Lolita esistesse e che loro due avessero una relazione. Così L1 le diceva: “guarda Lola, che se continui così, ti ammali. Ma non lo vedi che quello non ti prende neanche in considerazione? Come fai a dire di essere così innamorata, se lui non ti vuole neanche un briciolo di bene? L’amore non corrisposto è inutile!”. L2 ovviamente si incazzava e le rispondeva: “dici così perchè non lo conosci! Che ne sai tu, di lui? E poi, si certo, mi piace, ma non è mica l’unico che mi piace. Mi trovo bene con lui anche per questo, perchè a lui non dispiace che io abbia anche altri ragazzi”.

L1 le diceva: “Queste sono storielline che ti inventi. Mica è vero che ti piacciono anche altri ragazzi. Dici così perchè non vuoi affrontare la realtà. Certo, siete una coppia aperta, ma mi sembra che invece se ne approfitti di te. Non ti dice mai quello che pensa veramente e si fa sempre i cavoli suoi.”

Luana era molto brava a dare ottimi consigli. Agli altri.

Quando poi si trovava da sola a pensare alla sua di vita, i bilanci erano sempre peggio che sconfortanti. Il suo fidanzato comunista l’aveva lasciata per un’altra ragazza che giudicava più comunista di lei stessa e a modo suo aveva avuto ragione. Luana voleva una persona accanto senza volerla fra i piedi, voleva stare insieme a qualcuno da cui tornare la sera a casa e con cui condividere le proprie follie, ma non di doversi adattare lei a lui. E sapeva che questo era impossibile, che i sentimenti sono frutto solo di grandi compromessi. Così il suo fidanzato comunista l’aveva lasciata per qualcuna che avesse più chiaro in testa chi era e che cosa voleva.

Lei, invece, non aveva chiaro cosa volesse dalla vita. Aveva trovato un lavoro perchè pensava fosse importante essere indipendenti economicamente, ma del lavoro non le importava niente, anche se era costretta a farlo per 8 lunghe ore al giorno. Oltre a questo, diceva a se stessa di essere comunista, ma aveva grossi dubbi al riguardo e non aveva mai chiaro che cosa una comunista dovesse fare. Le sembrava quasi brutto il dirlo perchè l’attività politica le sembrava una cosa indispensabile nella ricetta del “buon comunista”, ma lei ne faceva poca e sempre di malavoglia. Quando si legava ai gruppi politici usciva sempre fuori il suo brutto carattere e si inimicava tutti i compagni: i comunisti erano troppo legati alle istituzioni e alla Legge; gli anarchici erano troppo individualisti e disorganizzati; i lavoratori pensavano solo al proprio orticello e i poveri non avevano voglia di studiare. Non le stava mai bene niente e non era mai felice.

Fosse almeno stata sicura di se stessa, ma neanche a se stessa poteva aggrapparsi e le sembrava di dibattersi senza scopo. Non sapeva chi era e cosa considerava giusto riguardo alla sua vita, ma non aveva neanche più principi che la orientassero su cosa è giusto e cosa è sbagliato nella vita politica e collettiva. Le uniche volte che riusciva a dire qualcosa era sempre riferito contro qualcuno. Dove gli altri sbagliassero lei lo sapeva, ma che cosa fosse giusto, anche solo come principio, era tanto tempo che non ne aveva la più pallida idea. Si sforzava di pensarci, di ricordarsi di se stessa giovane e entusiasta, ma più provava a risolvere i suoi dilemmi esistenziali e meno capiva.

La società le sembrava triste, vuota e senza scopo. Vivere in questa società le sembrava altrettanto triste e senza scopo.

Arrendersi definitivamente poteva essere una soluzione e, alla fine fine, credeva fosse anche la meta del suo viaggio. Ma il fatto di dover finire a pensare col cervello inscatolato e formattato dal grande fratello digitale-mediale-padronale la faceva incazzare ancora quanto bastava per continuare a opporsi al quieto vivere.

Credeva che la società fosse divisa in comparti, ognuno che funzionava secondo logiche sue proprie.

Sul versante produttivo c’era il mondo del privato e il mondo pubblico.

Quello del privato era interessato solo a produrre e guadagnare, non aveva interessi o narrazioni politiche da proporre, ma era come un caterpillar che spianava qualunque cosa si opponesse al suo passaggio: se c’era da abbattere e distruggere, il comparto privato abbatteva e distruggeva. Se aveva uno spazio abbastanza grande per se, produceva e guadagnava. Non gli importava né di giustificare il perchè della produzione, né il perchè della distruzione.

Il comparto pubblico invece era tutto animato da grandi “perchè”, ma chi elaborava i perchè e chi invece produceva materialmente i servizi erano sempre due soggetti diversi. Così che non c’era “perchè” abbastanza importante da scalfire procedure e protocolli e se anche di abbattere e distruggere non gli interessava gran che, molte volte lo faceva per dabbenaggine.

La società civile invece era ormai diventata una vasta pianura uniforme e incolore i cui abitanti avevano una sola logica: distogliere lo sguardo dai problemi il più presto possibile. Le persone stavano ritte in questa pianura con l’unica occupazione di stare a sentire fischiare il vento sopra le loro teste.

Luana sapeva che tutti questi comparti erano dipendenti l’uno dall’altro, sapeva anche tutti i legami e le forze che influenzavano i vari comparti. Avrebbe saputo spiegare nel dettaglio quali leve tirare e quali bottoni andassero pigiati per cambiare la società. Ma come gli altri se ne stava nel mezzo della pianura a sentire il vento passarle ai fianchi e di lì non si voleva più spostare.

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